Personaggi, Storia

Nicola il Pellegrino: il pifferaio magico che ammaliò i bambini di Racale

Nicola il Pellegrino (1075-1094)

San Nicola il Pellegrino in una antica icona.

Pur essendo stato canonizzato nel 1098, Nicola il Pellegrino (1075-1094) è tra le figure meno note del santorale cristiano. Gode di un vivace culto quasi esclusivamente a Trani (Ba), città in cui morì e di cui è protettore. Nacque nel lontano 1075 a Stiri (attuale Distomo), in Beozia, importante regione della Grecia Centrale. Fin da bambino trascorse le sue giornate nei campi a pascolare le greggi, in totale solitudine, colmando vuoti affettivi ed esistenziali con una religiosità sempliciotta ed elevata al contempo.

Tra pecore e capre recitava in forma litanica il “Kyrie eleison!” (“Signore pietà!”) e ripeteva la formula in maniera continua e martellante anche quando, raramente, incontrava esseri umani sul suo cammino. Per questa abitudine a sciorinare la snervante cantilena, i suoi conterranei lo additavano come pazzo, commiserandolo come un ragazzo sfortunato che la natura aveva privato del senno. Al culmine dell’esasperazione, la madre lo segregò in un monastero perché se ne tentasse una rieducazione o, quantomeno, perché quella sua malattia fosse tenuta nascosta. Nel cenobio lo si umiliò in molti modi e assai spesso Nicola fu selvaggiamente picchiato. Alle mazzate rispondeva col sorriso e con l’immancabile “Kyrie eleison!”. Scacciato dalla comunità monastica, si mise in viaggio verso Lepanto.

Da lì si sarebbe imbarcato alla volta di Otranto e, risalendo lo stivale italico, avrebbe raggiunto Roma, meta ambita del suo pellegrinaggio sulle orme degli Apostoli. Durante la traversata però, infastiditi dal continuo “Kyrie eleison!”, i marinai lo gettarono a mare; lo ritrovarono giorni dopo nello scalo di Otranto, ivi giunto inspiegabilmente prima di loro. Anche a Otranto fu la stessa canzone e perfino il vescovo Bernardo, spazientito dal “Kyrie eleison!”, domandò chi fosse questo povero Cristo messo così male di cervello.

Era il 1092 e il Pellegrino aveva appena diciassette anni. Qualche anima buona gli indicò il tragitto da seguire per raggiungere, chissà quando, la Città Eterna: avrebbe dovuto percorrere suppergiù l’antica via che oggi, convenzionalmente, chiamiamo “Via Sallentina”: da Otranto a Castro, da Castro a Vereto (nei pressi dell’attuale Patù), da Vereto ad Ugento, da Ugento ad Alezio e così, di passo in passo, proseguendo verso Nord, per poi immettersi da Taranto sulla Via Appia e da Brindisi sulla Via Traiana in direzione Roma. Fu però nel tragitto tra Ugento ed Alezio che il ragazzo visse un’importante tappa salentina del suo pellegrinaggio, quella nel casale di Racale. Fu respinto come al solito dagli adulti, ma capitò che una frotta di fanciulli lo incrociò al suo arrivo e, forse perché i piccoli sono liberi da buona parte dei pregiudizi dei grandi, quei bambini lo accolsero con canti e girotondi. Il “Kyrie eleison” di Nicola a loro piaceva, era un tormentone da blaterare a più non posso.

Al tramonto i marmocchi si congedarono da quello stravagante forestiero e il Pellegrino trovò rifugio in un rudere di campagna, poco fuori dal paese, e vi trascorse la notte. L’indomani mattina e così ad ogni spuntar del sole nei giorni seguenti, quei bambini andarono a trovare il misterioso viandante nel suo ricovero, contravvenendo ai divieti dei genitori, che in quello sconosciuto vedevano solo un imbecille. Anzi, a dir la verità, meglio stargli alla larga, putacaso fosse pericoloso! Eppure, in compagnia dei piccoli, Nicola sembrava sereno e spensierato, quasi ricongiunto con quella giovinezza che non aveva mai potuto vivere prima. Con loro giocava, saltava, si divertiva, cercando di comunicare a gesti e di far trapelare qualcosa dal suo incomprensibile parlar greco.

“Kyrie eleison!” lo capivano anche i bimbi, abituati ad ascoltare l’invocazione in chiesa, all’inizio della messa. E tanto a Nicola, quanto ai fanciulli, non interessava minimamente che la loro unica cristianità, dal fatidico 1054, si era scissa tra cattolicesimo e ortodossia. Forse non lo sapevano neppure e sicuramente non gliene poteva fregar di meno né di Umberto di Silvacandida né di Michele Cerulario, che poco meno di quarant’anni prima avevano ratificato un puntiglioso strappo tuttora non ricucito tra Occidente e Oriente cristiani.

Il comune denominatore tra Nicola e i bambini di Racale era quel “Kyrie eleison”, condito dalla vivacità della loro età. I girotondi continuarono per vari giorni e i fanciulli proseguirono ad ascoltare e comprendere quello straniero, per i grandi incomprensibile. Finché proprio quei grandi, accecati dall’ottusità, con forche e mazze mandarono via il Santo dalla loro terra. Quel fanatico avrebbe potuto rincitrullire per contagio i loro figli e andava fatto sparire dalla circolazione. Così allontanandosi da quel luogo, sotto una pioggia di pietre scagliate contro di lui, Nicola voltò le spalle al paese e riprese il suo cammino verso Nord. Più tardi, conosciuta la santità del Pellegrino dopo il suo arrivo a Trani e la sua beata morte nella città barese il 2 giugno 1094, la tradizione popolare avrebbe messo sulle labbra del viandante questo simpatico e duro congedo in latino: “Vale Racle, terra fertilis pastanacarum!” (“Addio Racale, terra fertile di carote!”), velata allusione al fatto che la vera stupidità risieda in chi non sa accogliere il “diverso” e si lascia imbrigliare dal pregiudizio. “Pastanaca” infatti, in dialetto salentino, è uno dei termini che denota un citrullo. E da quel tempo lontano, sempre secondo quanto narra la leggenda, i racalini iniziarono ad esser chiamati “pacci” dagli abitanti dei paesi limitrofi, perché solo un pazzo può mandar via un Santo dalla propria casa.

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