Antropologia culturale, Scrivere il Salento, Storia, Tradizioni

Vecchi merletti

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Donne al lavoro di ricamo (Arch. T. De Simeis)

Apro una vecchia cassapanca nella casa dei nonni. La stanza è in penombra, la luce fioca di una giornata di fine maggio, rende più magico il mio impatto con quello scrigno di ricordi, come se, protetta da quel chiarore indiscreto, conservasse il mistero di ciò che contiene.

Sollevo il coperchio poggiandolo sull’assicella di sostegno all’angolo, e, con delicatezza quasi religiosa comincio a toccare gli involucri di carta ingiallita, mezzo logorata dall’umidità e dai tarli che ne hanno fatto dimora per  chissà quanti anni.

L’essenza è inconfondibile, mista all’antico della lavanda e all’acre delle fibre legnose, nasconde benissimo il fastidioso e logoro odore di vecchio, racchiuso tra i ripiani e tra i pacchetti.

Quel profumo mi ricorda immagini di un tempo, narrate per brevi istanti, incastonate l’una all’altra attraverso minuziosi particolari che fanno da collante, quasi legate al filo impercettibile della tradizione, che tramanda di generazione in generazione, che affida alla voce della vita vissuta l’esperienza, la storia e le emozioni.

Scarto piano uno dei pacchetti: viene fuori, un centimetro per volta, il lembo trasparente di una trina antichissima, gialla dal tempo ma ancora intatta nella trama, forte del lavoro di quelle mani sapienti e pazienti che ne hanno reso possibile la corposità: un gioco prezioso di intrecci di cotone e passaggi di uncinetto cha hanno accompagnato lunghissime serate, meriggi freddi accanto al camino, nell’attesa che gli uomini tornassero dai campi, e hanno reso l’incanto di quel tratto di arte quotidiana che adesso affascina col suo stile d’altri tempi.

Il corredo: immancabile eredità di ogni ragazza, di ogni donna, insostituibile ricchezza che accompagnava ogni sposa, impagabile opera d’arte che svegliava l’invidia di tutti, che ritagliava spazi diversi per ceti diversi, che destava emozioni, che metteva in moto la fantasia, i ricordi, che commuoveva gli occhi delle nonne, che faceva sognare.

Un insieme di stoffe pregiate, di lini impeccabili, piegati nella perfezione millimetrica delle cuciture ornate col punto a giorno, con gli intagli più ricercati, con il filet più raro, il punto assisi o i ricami più ambiti.

Tende dalle trasparenze invidiabili, dalla morbidezza ineguagliabile dettata da tessuti d’altri tempi, dai colori che avrebbero giocato con i riflessi dei vetri lucidati a specchio, e che avrebbero reso la luce del sole ancora più dolce e soffusa.

Lenzuola immacolate, screziate dai ricami più lievi, colorati pastello, quasi a rendere i sogni più tenui e le notti senza ombre; federe vellutate, fresche, personalizzate con le iniziali della sposa, ancora intatte, precise nei contorni; asciugamani setosi, dalle frange fatte a mano, strofinacci in lino grezzo di colore ecru’, con cui si asciugavano le stoviglie di porcellana antica e le pentole in alluminio, lucidate a mano, con la cenere calda.

E camicie da notte, tovaglie, centrini e pizzi, trine, sottobicchieri, copriletto e tovagliette, piccole lenzuola e panni per i bimbi a venire.

Un pacco, due e molti altri ancora, riposti con amore, cura e che possiedono la seduzione delle cose di una volta, semplici e inestimabili.

Sembra superfluo scartare, quasi il tatto, dall’esterno precede la vista, l’anticipa, come se nulla fosse cambiato, come se il tempo non fosse passato a segnare il distacco, a darci il senso della modernità, di quei gesti, oggi superflui, ma che hanno intarsiato il nostro passato, come pezzi di un mosaico dai colori sfumati, ormai appassiti. Mi pare di riascoltare i racconti di un tempo, sotto i porticati al fresco, le sere d’estate, quando, per smaltire il caldo delle lunghe giornate, ci si riuniva con tutta la famiglia dopocena, e le nonne o le zie più anziane riprendevano la loro vita laddove l’avevano lasciata la sera prima, e noi, ragazzi, estasiati, affidavamo all’immaginazione la conoscenza.

Dicevano che preparare il corredo fosse un momento importante, che ogni madre vi si dedicasse a tempo pieno con l’aiuto, spesso, delle vicine di casa o parenti prossime, e che tutto dovesse essere fatto nella maniera più meticolosa, con la massima precisione, la sposa doveva portare con sé una dote senza eguali, era ogni volta così, e per ogni sposa era sempre qualcosa di diverso, di più bello di quello precedente.

Così si viveva quel sogno, nella frenesia dei preparativi che iniziavano persino al momento della nascita di una figlia femmina, per concludersi molti anni dopo e per poi ripetersi nella generazione successiva.

Niente è come allora: di quell’amore ora ci resta il profumo, qualche indumento conservato gelosamente in qualche cassetto, custodito per farne documento di vita, di tradizione culturale, come se la storia che lo ha visto protagonista, fosse diventata soltanto una narrazione scontata, a cui non si presta nemmeno troppa attenzione.

I nostri figli non avranno le nostre stesse emozioni, e i nostri racconti, a loro, sapranno di vecchio, di finto, di un mondo di cui non avranno avuto neppure il sentore, che li ha appena, appena sfiorati, che possono a mala pena guardare attraverso i nostri occhi, ma dal quale si sentiranno sempre estranei.

Sono ancora qui a pensare mentre intorno a me si è fatto buio, la luce del tramonto ha lasciato il posto ad una serata fresca e piacevole, dalla finestra si intravede la luna che con il suo chiarore intenso ricorda l’arrivo dell’estate, quando, la sera, si guarda il cielo ed il calore del giorno ci spinge a far l’alba, per godere il piacevole tocco della notte.

Nella nostra terra è ancora tutto molto bello, si respira un’aria speciale, ci si sente immersi in un mondo, a tratti, ancora incontaminato, si sorride di più e più volentieri.

Ma quando spegniamo tutto per andare a dormire, l’eco antica fa capolino, e, le nostre notti, di grilli e lucciole, sognano, ancora adesso, quelle sere nei portoni di cui sentiremo sempre il calore e la nostalgia.

20 pensieri su “Vecchi merletti”

  1. …eravamo tutti nel giardino vicino al pozzo vecchio,da dove spuntavano due corde e un gancio,da dove la carrucola del tragno di rame faceva stridore di diavolo prima di essere ingrassata con sivo di birroccio,dalle mani sapienti e veloci di nostro padre.eravamo tutti fermi,seduti in circolo imperfetto,di fronte a quella figura mastodontica,perennemente vestita di nero e con i capelli coperti dal maccaturo di lana vergine anche d’estate,che era mia nonna,solo per guardarla parlare,solo per sentirla cuntare le storie di Cicciumbruja e quelle di Cattumammone.era lei la nostra multimedialità.cinema,Tv e teatro in un solo colpo.era lei,che mentre lasciava andare le parole,usava andar le mani con filo di cotone ed uncinetto e spiegava trama dopo trama intere pezze di meraviglia.senza mai guardarsi le mani.tutto era nella sua memoria e tra le sue dita.e quella velocità,poi.e tutte quelle volte che ci siamo sorpresi con quell’aggeggio in mano a cercare di imitare quei gesti?!?.e quanto amore,quasi maniacale,ci metteva mia madre nello stirare quei capolavori?.”nnu lla pijare de menzu sennò sse rruvina”.che poesia in quelle indicazioni.cultura e praticità.praticità e bellezza.bellezza e cultura.
    ora è rimasta la praticità.ne bbiamo tanta.anche troppa.ce ne rimane così tanta addosso che non sappiamo più discinderla dalla Bellezza.tutto omologato.anche il corredo.anche la misura della bellezza.
    avrei preferito che quella parte di sapori ed odori che distinguevano la poesia e l’umiltà di quei momenti,fossero rimasti.per quel semplice motivo,come dici benissimo tu,Titti,in quest’articolo,che avrei voluto che i miei figli sentissero quel sacro odore dell’umiltà.
    Grazie,Titti,un miliardo di volte…

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    1. … “usava andar le mani con filo di cotone ed uncinetto e spiegava trama dopo trama intere pezze di meraviglia”…

      Una piccola poesia per ‘dire’ l’immensità di quell’immagine!
      Grazie, Lele, di condividere nei tuoi ‘commenti’ parte della ‘tua memoria’, scritta con emozione e tenerezza! Il tuo pensiero diventa parola che ascolto e ‘rivedo’ nelle tue storie dai nomi buffi ma che rendono il gusto di ‘una volta’…

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  2. L’emozione del richiamo alla nostra cultura passa anche, leggendo queste righe delicate, attraverso la congiunzione, leggendole legate d’un fiato, di tutte le parole scritte in neretto: tra oggetti di “culto” di questo appunto sulle nostre tradizioni e gli aspetti affettivi ed emotivi richiamati da “nonne e zie… preparativi di vita… nostalgia”, traspare la poesia di cui sei capace. 😉

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    1. ‎… originale il richiamo alla ‘collana’ di parole, come ‘appunti’ di foto da ingrandire per respirarne i particolari … Grazie, Fabio …

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  3. Carissima Titti,
    ti ringrazio dal più profondo del cuore per questo racconto bellissimo… dal sapore antico e nostalgico, che mi ha profondamente commosso. Solamente tu, con la tua delicatezza, la tua sensibilità e la tua poesia, potevi scrivere una cosa del genere… incantevole! Emozioni, ricordi, ombre del passato che ho vissuto e che mi mancano tanto. Pensa che io dormo tra bianche lenzuola di panno fatte a mano col telaio (lu talaru); facevano parte del corredo di mia suocera e poi di mia moglie… lenzuola calde, pesanti, dal profumo particolare. I merletti, i ricami, le cose più belle di mia suocera e poi di mia moglie sono già passati alle mie nipotine per tradizione di famiglia. Ricordo come se fosse ieri, quando i corredi delle zie, delle cugine, prossime a sposarsi, venivano esposti nei salotti e nelle camere da letto per essere ammirati da parenti ed amici. Il corredo, era il vanto della sposa. Bravissima, Titti, hai scritto una storia bellissima… una storia che fa parte del nostro passato, della nostra civiltà d’un tempo, ormai dimenticata. Quel profumo delicato di lavanda… che sentivo aprendo i cassetti del comò (perché mia moglie continuava a mettere le foglie secche di lavanda in piccoli sacchetti di pizzo, fra le lenzuola, gli asciugamani puliti) mi pare di sentirlo ancora… e lo vado cercando come un… sognatore!!! Complimenti, Titti, ti ammiro molto per le belle cose che scrivi… un caro saluto Lucio

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    1. Lucio, sono io che ringrazio te! Sei un lettore speciale, i tuoi commenti son di grande rilievo per me, conoscendo la tua sensibilità di scrittore, principalmente. La tua delicatezza nel ricordare piccoli sprazzi di storia e di vissuto mi restituisce la tenerezza di un tempo, di un passato prossimo, magari, ma che ha lasciato segni indelebili tra i pensieri. Come quell’indimenticabile profumo di lavanda, che accarezza le fiabe di ogni bambino, tra le lenzuola candide, la sera, prima di spegnere la luce.
      Grazie, un sorriso!

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  4. Ogni volta che ti leggo resto immerso in un’atmosfera da fiaba. Stavolta risento i profumi, sento il fruscio delle lenzuola di mia nonna ed il candore degli asciugamani della mia infanzia, chiudo gli occhi per non perderne l’emozione che, credevo, dimenticata! E, come diresti tu, quasi, quasi ti rileggo…
    Bellissimo!

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  5. Sì quei vecchi merletti, come pagine ingiallite di storia parlano e raccontano..Molto più a nord dello stesso mare, nella città del tombolo e della trina veneziana anch’io fin da piccola con ago e filo nel tentativo di imparare il ricamo presso la suora paziente.E mamma e nonna nel tempo “libero” tutto un laborio di dita, guglie, fili, uncinetto e amore.
    Grazie Titti!! Anch’io provo un sacro reverenziale amore per tutte queste preziosità che si tramandano di madre in figlia.Sono vent’anni ormai che mia madre non c’è più, ma sul tavolo in sala ancora la grande tovaglia di pizzo mi parla di lei..

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    1. Raggiungerci, a così grande distanza, in un piccolo nugolo di ricordi ci fa sentire talmente vicine! Venezia è magia d’arte e cultura, e, le sue trine, figlie di una scuola e di una tradizione ricca di storia, rendono, in trasparenza, l’eleganza della sua seduzione di città fascinosa.
      Quando una tovaglia di pizzo ci ‘parla’ di chi non c’è più, capiamo l’incanto di una tradizione che lascia il segno nell’anima. Grazie, Adriana!

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  6. Sembra parte di una sceneggiatura del neorealismo italiano. Un bianco/nero d’autore. Ottimo stile, semplice e ricercato al contempo. Bellissimo!

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    1. Il tuo cinema! Le immagini di un bianco/nero d’autore lasciano il respiro in sospeso, nella storia di un periodo culturale che è stato fonte di grandi insegnamenti.
      Grazie, Sauro, lusingata dalla tua ‘critica’ sempre scrupolosa, gentile ma sincera.

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  7. Cara Titti…Per pochi attimi sono tornato bambino…mi è sembrato di essere in uno di quei cinema, dove si racconta, in bianco e nero come é stata la nostra infanzia. I miei occhi hanno rivisto un film vissuto con gioa incontenibile…ogni cosa era fatta scrupolosamente, senza lasciare nulla al caso. L’apertura di quella vecchia panca, la “delicatezza religiosa” nel toccare quel passato, cosi presente nelle nostre anime….ha aumentato la nostalgia per i tempi che non sono piu’….Aggiungo solo che ci sentiamo veramente parte integrante di queste terra/e meravigliose, che sorride ancora ai propri figli nativi, sorrisi fatti di colori,bellezze,profumi…..e di un leggero soffio di vento che accarezza la nostra anima…..Complimenti sinceri Titti….

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  8. Sì, Zeno, è stato come ripercorrere i fotogrammi di una vecchia pellicola ancora intatta tra i pensieri, gli odori del passato e i sorrisi dell’infanzia. Il tutto rivisto con il cuore e sentimenti senza tempo. E’ sempre così, quando i batticuori del passato, in un racconto o in un ricordo, tornano ad essere musica per l’anima. Grazie, di essere entrato tra le quinte di queste emozioni.

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  9. Ciao Titti e ciao a tutti,
    davvero toccante questo pezzo..ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovata nella stanza con l’armadio imponente dove mia nonna riponeva il mio corredo che ha iniziato a collezionare sin da quando ero piccola. 🙂
    Sono di origine salentina (mio padre è di gallipoli, mentre mia madre è milanese) e sono molto legata a questa terra, ci torno più volte l’anno e sento di appartenerci. Ai primi di giugno mi sposerò e per motivi logistici purtroppo non sono riuscita ad organizzare il matrimonio giù..ma vorrei comunque richiamare la mia terra, a partire dai merletti. L’idea è di realizzare i sacchetti per i confetti con i merletti tipici della tradizione salentina.
    Mi rivolgo a voi per chiedervi se conoscete qualcuno che li realizza ancora. Le suore che hanno realizzato il mio correddo (il convento è a Gallipoli vecchia) non li fanno più..xchè come tanti mestieri artigianali, è andato perdure con le suore anziane :-(.
    Vi sarei tanto grata se poteste aiutarmi!!
    grazie mille!
    alice

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