Personaggi, Storia

La tragica morte del capitano Elio Nisi

di Ottorino Capocelli

CapNISI
Il capitano Elio NISI (1932-1961)

L’11 novembre 1961 a Kindu, nell’ex Congo belga, tredici aviatori italiani, facenti parte del contingente dell’Operazione delle Nazioni Unite in Congo, furono trucidati. Il Congo era sconvolto dalla guerra civile a seguito dell’uccisione di Patrice Lumumba, l’ex Primo Ministro nazionalista che aveva tentato di liberare il paese dalle ingerenze esterne. Il Belgio, dopo decenni di sfruttamento coloniale e massacri, aveva lasciato il Congo in un completo caos politico ed amministrativo: grandi interessi internazionali e finanziari agirono poi per rendere più grave la situazione, favorendo la secessione del Katanga, la più ricca provincia del paese, centro d’importanti attività minerarie.

Le fazioni in lotta erano tre: quella del presidente Joseph Kasa-Vubu con le truppe comandate dal generale Mobutu, quella lumumbista di Antoine Gizenga con le truppe del generale Lundula che controllano la provincia orientale; quella katanghese di Moise Ciombe con i gendarmi guidati da mercenari bianchi, soprattutto belgi.

I due equipaggi italiani operano da un anno e mezzo nel Congo ed il 23 novembre del 1961 sarebbero dovuti rientrare in Italia. La mattina di sabato 11 novembre 1961 i due aerei decollano dalla capitale Leopoldville per portare rifornimento alla piccola guarnigione malese dell’ONU che controlla l’aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. È una regione dove i bianchi non stanno volentieri e che da mesi è sconvolta dal passaggio delle truppe di Gizenga provenienti da Stanleyville e diretti nel Katanga. Nessuno è in grado di controllare questi soldati: si ubriacano; sono ossessionati dal terrore dei parà di Ciombè; privi di disciplina, compiono misfatti, ruberie, soprusi; terrorizzano non solo gli europei di Kindu, ma la stessa popolazione indigena. Gli aerei italiani però non si devono fermare, rientreranno alla base nella stessa giornata, solo il tempo di scaricare e, per gli equipaggi, di mangiare qualcosa. I due C-119 compaiono nel cielo di Kindu poco dopo le 2 del pomeriggio, fanno alcuni giri sopra l’abitato, poi atterrano. Fra i duemila soldati congolesi di Kindu si era intanto sparsa la voce che fosse imminente un lancio di paracadutisti mercenari di Ciombe e quando, il sabato, vedono volteggiare in cielo i due aerei, credono trattarsi dei parà di Ciombe. Il terrore e il furore s’impossessano dei soldati, che saltano sui camion e vanno all’aeroporto e poi alla mensa dell’ONU, una villetta distante un chilometro, dove il maggiore Parmeggiani e gli altri italiani si sono recati in compagnia del maggiore Maud, comandante del presidio malese. All’arrivo dei congolesi, sempre più numerosi e minacciosi, gli italiani che sono disarmati, cercano di barricarsi all’interno dell’edificio ma vengono catturati. I pochi malesi di guardia vengono disarmati e malmenati. Il primo a morire è il tenente medico Remotti che tenta di fuggire. I dodici italiani superstiti vengono assaliti; poi pesti e sanguinanti, con il cadavere di Remotti, vengono caricati su due camion, portati in città e scaricati dove termina la via principale, davanti alla prigione. Alle prime luci della sera i militari italiani vengono finiti con due raffiche di mitra. Poi una folla inferocita si scaglia sui corpi martoriati e ne fa scempio a colpi di machete.

Intanto un altro equipaggio italiano era partito da Pisa, in soccorso e per dare il cambio al contingente italiano, assolutamente ignaro dell’accaduto. L’equipaggio era guidato dal capitano pilota Elio Nisi, originario di Maglie (LE). Il C-119 di Elio Nisi, nel cielo del lago Tanganica, accusò un’avaria al motore e l’aereo fu costretto ad atterrare ma, una volta preso terra, si ribaltò a causa di un grosso tronco d’albero messo per traverso sulla pista: morirono in 4 compreso lo stesso Nisi, che però fece sì che il resto dell’equipaggio si salvasse.

3 pensieri su “La tragica morte del capitano Elio Nisi”

  1. Anche questo articolo è molto bello ed interessante. Ricordo perfettamente la tragica storia dei valorosi tredici aviatori italiani che furono ammazzati a Kindu nell’ex Congo Belga in una missione dell’ONU. Una storia triste e crudele che l’amico Ottorino Capocelli ha fatto bene a ricordare per il coraggio di questi eroici aviatori italiani. Complimenti vivissimi! Sono pienamente d’accordo per la necessità, specialmente oggi, di scrivere e pubblicare le storie dei nostri eroici soldati caduti gloriosamente sia per le missioni di guerra che per quelle di pace e di solidarietà umana. Grazie

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  2. Una grossa bugia.
    Dispiace a tutti Congolesi
    La storia non é cosi. Io sono Congolsese de la RDC e da 30 anni che vivo in Italia, circa 20 anni fa sul TG RAI1 annuncia Lilli Grouber: ”dopo 20 indagini, la verità dice che non erano, ne Militari Italiani, Né dell’ONU, erano tutti mercenari al servizio del Belgio” che voleva a tutti costi il Katanga, Infatti, i testimoni sul posto, tra cui, il mio proprio cognato presente nella città, la popolazione si é radunata tutti all’aeroporto di Kindu, pensavano all’arrivo dell aiuto umanitari. Invece degli aiuto, si scopri che l aero che era atterrato era pieno di armi. E cosi la furia della popolazione presero tutti l’equipaggio, Il mio cognato mi racconta che che furono tagliati a pezzettini, dice che furono anche mangiati per la rabbia, ed é cosi che sono partiti da mercenari e ritornati come eroe Italiani morti in servizio, anzi fino a dedicargli il monumento a Fiumincino. Da quando che ho 15 anni che conosco questa storia, Se volete andate giù a indagare invece di mentire gli Italiani. E aggiungo, va mantelata quel monumento dedicato a loro.

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  3. Egr. sig. Florent,
    mi sono preso del tempo per risponderle al fine di verificare quanto lei afferma e quanto, invece, sappiamo noi da fonti ufficiali. Non le nascondo che ho provato molta indignazione nel leggere alcune sue parole ma, poiché il mio fine è quello di parlare di storia attraverso prove tangibili, ho cercato di astenermi da qualunque impulso patriottico e di indagare con la coerenza che a ogni ricercatore è comandata. Non mi sono sottratto nemmeno dall’intervistare i parenti di alcuni aviatori, di interpellare storici dell’Arma dell’Aeronautica Italiana e di visionare i documenti del Ministero della Difesa Italiano.
    Innanzitutto va precisato, come è evidenziato anche nell’articolo, che l’eccidio di Kindu non ha nulla a che vedere con i fatti nei quali trovò la morte il nostro capitano Elio Nisi, al quale l’articolo è intitolato, assieme ad altri tre militari italiani. Difatti, la tragedia si riferisce a un aereo precipitato il 17 novembre 1961 a Kakungwi – Lago Tanganica (Tanzania) per un’avaria ai motori mentre, quello di Kindu, che lei definisce “una grossa bugia”, atterrò e il suo equipaggio (13 membri) trucidato. Il nostro caduto Elio Nisi, pertanto, onora a tutto merito la memoria di noi italiani e, in particolare, di noi magliesi e, come tale, va rispettato senza appello alcuno ricordandole che è stato anche insignito della Croce Commemorativa dell’ONU per la missione ONU in Congo.
    Quanto all’eccidio di Kindu non ho potuto verificare quello che lei dice aver pronunciato Lilli Grouber durante una trasmissione sulla RAI ma, se anche lo avesse fatto, non può certo una notizia mettere in ginocchio quanto ampiamente documentato anche considerando che ad essa non sono seguiti ulteriori approfondimenti. Le dico di più, fu proprio la RAI a lanciare nel 1962, grazie a una sottoscrizione, l’idea di costruire un monumento commemorativo presso l’aeroporto militare di Pisa per ricordare la flotta oggetto dell’eccidio. Inoltre, i racconti a lei narrati, trovano ampia conferma in quello che noi sappiamo ovvero che i soldati ONU (Italiani) furono scambiati per mercenari e come tali trucidati. Un terribile equivoco che la tradizione locale vuole per vero ma che, attenendoci ai fatti, è del tutto falsa non solo alla luce delle informazioni governative ma anche da quelle riportate da tanti storici delle Forze Armate che hanno indagato, anche in loco, sui fatti. Ampia è la bibliografia di studi e saggi sull’accaduto. Gli stessi soldati, inoltre, volavano con un C-119 “Lyra 5” della 46^ Aerobrigata Pisa dell’Aeronautica Italiana, le chiedo: potevano dei mercenari al soldo del Belgio volare con un aereo di Stato Italiano? Potevano essere i mercenari alcuni militari italiani IN SERVIZIO che avevano giurato fedeltà all’Italia? Capisco che i “complotti” possano falsificare le storie ma in questo caso è proprio esagerato. La loro missione non era quella di portare aiuti umanitari, come faceva l’aereo del Nisi, e quindi era normale non trovarne, bensì quella di rifornire la locale guarnigione di Caschi Blu (ONU) malese e, probabilmente, erano armati anche se in MISSIONE di PACE (come avviene ancora oggi). In realtà, dunque, è stata la fobia di alcuni congolesi di vedersi paracadutare mercenari di Ciombe e ciò ha portato a confondere gli italiani per assassini e a fare scempio di quei poveri uomini impegnati a difendere la neonata Repubblica del Congo. I racconti che lei riporta e quanto dicono i suoi conoscenti restano, pertanto, solo favole perché non hanno il sostegno di nessuna prova certa (necessaria se si vuole narrare una storia o argomentarne una diversa). Per tali motivi, spero che quando lei passerà vicino al monumento loro dedicato, porti un omaggio a quegli eroi: è anche questo un modo per onorare il suo Paese d’origine (al quale quelle persone immolarono la vita) nonché di stimare il Paese che la ospita. Qui trova il link di un filmato RAI girato qualche tempo dopo: http://www.raistoria.rai.it/articoli/leccidio-di-kindu/11214/default.aspx Spero che anche questo non sia “una grossa bugia”.

    Cordialmente
    Vincenzo D’Aurelio

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