L’arcivescovo Cornelio Sebastiano Cuccarollo resse l’arcidiocesi di Otranto tra il 1930 e il 1952, nel difficile arco temporale che abbraccia gran parte dell’era fascista e il primo dopoguerra. Il suo lungo episcopato è uno dei più contraddittori nella plurimillenaria storia dell’arcidiocesi idruntina. Uomo di santa vita, fra Cornelio da Mussolente era un cappuccino di origine veneta, traslato a Otranto dalla diocesi dauna di Bovino. Una caratteriale impulsività lo condusse in più occasioni a scelte pastorali discutibili e a contrasti interni ed esterni alla sua sede.
Una delle questioni più scottanti è quella riguardante la lotta del Cuccarollo all’impiego religioso di manufatti artistici in cartapesta leccese. Il suo manifesto programmatico è contenuto nella disdicevole lettera inviata nel 1933 a mons. Spirito Chiappetta, presidente della Pontificia Commissione centrale per l’Arte Sacra. È alle porte la 1ª settimana d’Arte Sacra per il clero, organizzata a Roma per l’ottobre dello stesso anno.
Una statua in cartapesta leccese in corso di lavorazione
L’arcivescovo di Otranto, primate del Salento, esprime il suo disgusto nei confronti della statuaria sacra in cartapesta; non gli aggrada che le immagini a soggetto religioso siano realizzate in un materiale che, a suo dire, non è affatto nobile. Ne segue una spiacevole indagine che provocherà danni evidenti ai tradizionali laboratori artistici salentini. Molte botteghe chiudono i battenti e sempre meno apprendisti si accostano ai vecchi maestri. Così un alto numero di statue vengono date alle fiamme in tutta l’area salentina o, nella migliore delle ipotesi, sono vendute a estimatori privati.
Se la cartapesta leccese non sarà bandita dai luoghi di culto bisognerà essere grati soprattutto al prof. Corrado Mezzana, membro della commissione romana, qualificato estimatore e difensore di un’arte così pregevole.
Stanco e avvilito dall’insorgere di ulteriori seri contrasti, mons. Cuccarollo fu rimosso nel 1952 e nominato vescovo titolare di Proconneso di Marmara. Morì nel 1963.
Francesco Danieli, classe 1981, è originario di Galàtone (Le).
Conseguita la maturità classica a Nardò nel 1999, intraprende gli studi di Filosofia e Teologia che lo condurranno alla laurea presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli nel 2004. A Roma, alunno dell'Istituto di Archeologia Cristiana, ottiene nel 2007 il diploma postuniversitario in Archeologia. Sempre nella capitale, presso l'Università della Santa Croce, consegue nel 2008 la licenza in Teologia e la specializzazione in Storia. Presso la medesima Università vince il dottorato di ricerca in Teologia - Storia, discutendone la tesi nel 2010.
Già sodale dell’Associazione Archivistica Ecclesiastica, dal 2010 è membro della Società di Storia Patria per la Puglia (deputazione di Lecce).
Nel 2007 è cofondatore della rivista «Spicilegia Sallentina», semestrale volto alla riscoperta e valorizzazione dei tesori culturali e ambientali di Terra d’Otranto. Ne sarà vicedirettore fino al 2011. Per le Edizioni Universitarie Romane, casa editrice legata all'università "La Sapienza" di Roma, è direttore fin dal 2007 della collana editoriale «Gli Argonauti», strumento scientifico che accoglie studi a carattere storico, artistico e antropologico culturale. Fa parte del comitato di redazione de "L'Idomeneo", rivista della facoltà di Beni Culturali dell'Università del Salento.
Organista di talento e concertatore d’esperienza, tra il 2000 e il 2008 dirige varie cappelle musicali prima nel Salento e poi a Roma. Ha pure composto versi e musica di numerosi inni e canti sacri, alcuni dei quali incisi su cd, variando nel suo repertorio tra il neo gregoriano, il polifonico, il swing e il beat.
È autore di cabaret e sforna esilaranti commedie in vernacolo salentino, messe in scena periodicamente in tutta la provincia di Lecce da varie compagnie teatrali.
Cultore della materia presso la cattedra di Storia Sociale dei Media, corso interfacoltà (Scienze della Comunicazione e Beni Culturali) dell'Università del Salento, collabora con diverse associazioni culturali nazionali ed è invitato a intervenire a conferenze e tavole rotonde in tutta Italia. Intellettuale eclettico e uomo dalle mille risorse, nell'oceano delle sue competenze si è fatto notare a livello nazionale soprattutto nell'ambito degli studi di interpretazione delle immagini, tanto da essere definito «uno dei maggiori iconologi italiani, capace di penetrare le opere d’arte – soprattutto quelle a soggetto religioso – palesando il messaggio criptato che committenti e artisti vollero imprimere in esse secoli e secoli fa».
Ciò che stupisce e ammalia della sua persona, però, è la stravagante e al contempo armonica commistione tra sfera intellettuale e sfera manuale. Acerrimo nemico del cemento armato, è tra gli ultimi custodi della muratura leccese all'antica, che trova le sue massime espressioni nelle tipiche volte a botte e a stella (spigolo, squadro, padiglione lunettato). Formatosi alla "scuola edile" pratica dei vecchi maestri, durante un lungo apprendistato giovanile, condivide con passione le antiche tecniche con quei "discìpuli" che, andando controcorrente, si affidano alla sua competente esperienza. Per loro e per molti altri è "Mesciu Cicciu". Unico titolo che lo inorgoglisce! Titolare di una piccola impresa individuale di muratura, è questa la professione che garantisce il sostentamento a lui ed alla sua famiglia, in aderenza all'antico adagio oraziano, per cui "carmina non dant panem".
Ha scritto vari volumi e ha firmato numerosissimi apprezzati contributi a carattere storico, artistico, antropologico e teologico per opere miscellanee e riviste cartacee e telematiche.
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1 pensiero su “L’arcivescovo Cuccarollo. Il primate del Salento che fu nemico della cartapesta”
Ricordo che a Maglie, per tutti gli anni ’60 e fino a metà anni ’70, le maestre di ispirazione cattolica, sulla scia delle posizioni di Mons. Cuccarollo, additavano le statue di cartapesta come poco nobili non per la materia con cui venivano fabbricate, ma perchè gli artigiani avrebbero potuto utilizzare, nella loro realizzazione, anche non meglio identificati “giornalacci”.
Ricordo che a Maglie, per tutti gli anni ’60 e fino a metà anni ’70, le maestre di ispirazione cattolica, sulla scia delle posizioni di Mons. Cuccarollo, additavano le statue di cartapesta come poco nobili non per la materia con cui venivano fabbricate, ma perchè gli artigiani avrebbero potuto utilizzare, nella loro realizzazione, anche non meglio identificati “giornalacci”.
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