Cultura salentina

La paura dello specchio nelle credenze popolari del Salento

Caravaggio, Narciso (1594-'96). Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica

Eisoptrofobia. È questo il complicatissimo vocabolo clinico che indica la paura degli specchi, quella persistente e ingiustificata fobia dell’oggetto in quanto tale e del vedere la propria immagine riflessa in esso. Naturalmente presente in qualche soggetto, può però derivare anche da una particolare esperienza traumatica vissuta nel corso della fanciullezza. Questa stravagante patologia, infatti, si configura assai spesso come il punto di convergenza tra psicosi e superstizione, proprio come si può riscontrare in un’antica credenza popolare salentina.

Ricordo ancora con un po’ di inquietudine gli aspri rimproveri ricevuti da piccolo, quando osavo avvicinarmi alla grande specchiera della camera da letto dei miei nonni paterni. Solo per aver indugiato più del dovuto lì davanti, mi sentivo urlare: «Vabbande ti ddhai, ca esse lu tiàulu». E forza a correre via il più lontano possibile! Paura e desiderio di avvicinarmi, come in una sfida, non solo si alternavano ma spesso convivevano nelle mie fantasticherie. Chissà se era vero che lì dentro ci fosse il diavolo! Più tardi, studiando psicologia, avrei appreso che man mano che il bambino assume una maggiore coscienza di sé lo specchiarsi diviene un’esigenza vitale, uno dei modi migliori per conoscersi e riconoscersi.

Legata al tabù della vanità, tale credenza salentina trova presupposti mitici già nel mondo classico, nelle favole e nella letteratura. Nella mitologia greca, il bellissimo Narciso si innamora della propria immagine riflessa nell’acqua di una fonte, illudendosi di scorgere una splendida ninfa. Incapace di abbracciarla e di coronare il suo irrealizzabile sogno d’amore, si lascia morire, trasformandosi in un fiore.

Con le debite varianti, anche Il ritratto di Dorian Gray (1890), capolavoro di Oscar Wilde, riprende il tema dell’immagine riflessa: il pittore Basil Hallward sta realizzando con passione il ritratto di Dorian Gray, giovane di straordinaria bellezza. Provando un’irrefrenabile invidia verso il suo stesso ritratto, Dorian stringe una sorta di patto col demonio. Rimarrà eternamente giovane, mentre il dipinto invecchierà al suo posto. Il quadro però si imbruttisce sempre di più, dopo il suicidio di un’attrice di teatro con la quale Dorian aveva vissuto una tormentata storia d’amore. Sono i suoi sensi di colpa a deturpare il ritratto, segno esteriore di una coscienza messa a tacere. Dorian nasconde il quadro in soffitta e continua ad eccedere nella sregolatezza di vita. Quando si reca a controllare di tanto in tanto il ritratto, lo trova sempre più invecchiato. Crescono di giorno in giorno le paure e i rimorsi finché, sopraffatto dai sensi di colpa, lacera il quadro con un coltello. I servitori ritroveranno Dorian con la lama conficcata nel cuore, invecchiato fino all’inverosimile, ai piedi del suo ritratto incorrotto.

Nel romanzo La madre (1920) di Grazia Deledda, uno specchio fa notare alla mamma il cambiamento del figlio prete, dovuto all’innamoramento. L’oggetto è come catalizzatore di un’energia diabolica, in lotta aperta con la scelta vocazionale di Paulo. Giovane prete sardo, questi si è infatti invaghito di una vedova e i due amanti si incontrano di nascosto ormai da tempo. Gli occhi furtivi della madre, disorientata da tanta irrazionalità, lo seguono ovunque: «Ecco che infatti Paulo si moveva di nuovo; forse era appunto davanti allo specchio, sebbene ai preti ciò non sia permesso. Ma cosa non si permetteva Paulo, da qualche tempo in qua? La madre ricordava di averlo spesso sorpreso, in quegli ultimi tempi, a specchiarsi a lungo come una donna, a pulirsi e lucidarsi le unghie, a spazzolarsi i capelli che si tirava in su dopo averli lasciati crescere, quasi cercando di nascondere il sacro segno della tonsura».

Nella favola di Biancaneve, scritta dai fratelli Grimm e poi animata da Disney, la malvagia Grimilde consulta lo Specchio magico su chi sia la più bella del reame. Ed è lo Specchio a mettere nei guai Biancaneve, proclamandone l’assoluta bellezza e scatenando l’ira della regina. Così, continuando la saga di Alice nel paese delle meraviglie, Lewis Carroll (1832-1898) scrive Attraverso lo specchio, ribadendo la funzione dello specchio come varco. Negli anni ’60 si diffonderà in TV il cartone giapponese Lo specchio magico, ideato da Fujio Akatsuka, in cui la piccola Stilly possiede uno specchio incantato, capace di trasformarla in tutto ciò che desideri.

Paura e attrazione verso un mondo parallelo e distorto sono sentimenti da sempre legati allo specchio. Ecco allora compreso l’uso salentino di velare gli specchi durante l’esposizione in casa del corpo di un defunto, quasi a scongiurare l’imprigionamento della sua anima in una trappola di vetro. Fascino eppure timore dell’ignoto e del frammentario, da cui la scaramantica accortezza nell’evitare di ridurre uno specchio in frantumi, scansando sette anni di sciagure.

Sarebbe lungo e complesso – ma certo avvincente – un ulteriore approfondimento su tale tematica, in cui psicologia, antropologia e mito si intrecciano in modo strabiliante. Certo è che sull’instabilità della nostra epoca e sul perenne fluttuare dell’animo umano continua a risuonare l’affermazione dell’apostolo Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia» (1 Cor 13, 12).

8 pensieri su “La paura dello specchio nelle credenze popolari del Salento”

  1. Ciao Francesco,
    curioso e interessante questo contributo, non avevo sentito mai parlare di fobia degli specchi, a differenza di quella da sughero, di cui soffre un’amica.

    Quanto all’usanza di non mettere specchi nella camera ardente allestita per il defunto, sì, è una di quelle credenze che viene associata al rito del fazzoletto nel taschino del vestito della salma, che tuttora vedo fare e che mi sembra, forse sbagliando, piuttosto anacronistica.

    Grazie per questo squarcio di antropologia e per questo ripasso di letteratura, che non fa mai male.

    Un saluto

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  2. Ci sarebbe veramente tanto da dire su questo argomento…se posso permettermi, caro don Ciccio, almeno una cosa mi pare proprio doverosa: ritengo che in questo tuo bel pezzo manchi il riferimento letterario più importante e psicocologicamente profondo che esista in riferimento allo specchio e allo specchiarsi: Pirandello. Nessuno, più e meglio di lui -Wilde e gli altri sarebbero riferimenti a dir poco secondari al cospetto- ha indagato e scandagliato il complesso tema. Basta pensare a quel romanzo dell’identità che è “Uno, Nessuno, Centomila”, nel quale tutto nella vita del povero Gengé iniziò a mutare un bel giorno, per caso, proprio di fronte a uno specchio…

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  3. E’ vero, Pa’! Se si scavasse un po’ di più nella memoria, chissà quanti altri riferimenti uscirebbero. Davvero un tema appassionante…

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  4. Dallo specchio di Narciso a quello di Biancaneve, per poi giungere , dallo specchio rotto a quello magico e superstizioso del Salento.
    Ricordo che da piccola, soprattutto nei paesi, notavo, in casa del defunto, gli specchi ed i vetri delle credenze coperti da un telo o lenzuolo…grazie a questo tuo straordinario exscursus, ora ne comprendo il motivo.
    Un tema bellissimo…!

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  5. Sul tema della paura popolare degli specchi nel Salento avrebbe avuto molto da dire Giulietta Livraghi, che, con Nino Pensabene, ha affrontato con studi antropologici sul campo e con rigore anche questa questione. L’ennesimo esempio, qualora vi fosse ancora bisogno, di quanto vado ripetendo oramai da un anno: bisogna riscoprire questa figura e i suoi frutti di decenni di lavoro!

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  6. Personalmente, ho sperimentato il fenomeno inverso, la Pierluigiofobia, di cui è affetto lo specchio e che si verifica ogni mattina al mio risveglio; non appena scorge la mia immagine, fugge via inorridito…

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