Opinioni, Scrittori salentini

Girotondo

Robert Doisneau (FRA 1912-1994): Les tabliers de la rue de Rivoli, 1978

I bambini: sanno ancora giocare. Sanno, sempre, come inventarsi il mondo. Oltre noi. Nella scontatezza delle nostre giornate, programmate in ogni dettaglio, per noi son diventati piccoli impegni pianificati tra un doposcuola e una nonna, una piscina e una lezione di musica, una partita di calcetto e un doposcuola. Invece, sono bambini. In cerca di un perché, di un mistero da svelare e una discesa da correre al guinzaglio di un cane. Vogliono cadere, sporcarsi, rotolare nella terra, macchiarsi di pistacchio, guardare un film su un tappeto o sbucciarsi un ginocchio, costruire dighe con i tronchi, pilotare un trenino e aspettare un nonno per andare in bici. Crescono piano, piangono forte in attesa di un sogno; si addormentano alla voce di una fiaba, vestono i tacchi della mamma e le cravatte di papà; si rincorrono tra gli alberi e sudano di gioia, si nascondono tra i sedili di un treno irrequieti di noia e fantasia; scartano caramelle colorate e imparano a far volare un aquilone, sul terrazzo di un mare blu. Con le mani nella neve costruiscono un pupazzo o, a mollo in un lago, fanno il verso alle papere. I bambini abitano, ancora, le strade silenziose e accaldate di bianco, dove il Sud riposa nei pomeriggi sudati e aspetta il tramonto: seduti sui gradini delle chiese tirano la coda ai gatti, con gli occhi ad una finestra a chiedere la merenda e i piedi su un pallone per segnare in porta. Ce ne sono tanti di bambini così e ci rubano gli occhi. Noi li guardiamo, sospesi tra vita e meraviglia, giocare con le bambole su una panchina o nella sabbia, a costruire favole; nel cortile della scuola a far lezione nel sole o vicino a una fontana a issare vele di carta. I bambini son zucchero filato appiccicato alle dita, son lacrime disperate di sonno e peluches penzolanti per mano. Quanto sanno dire. Seduti ciondolanti e senza scarpe lanciano molliche sui tavolini di un bar, fuori dall’attenzione di adulti mal cresciuti, inconsapevoli padri e madri impreparate. Si voltano a guardarci, strattonati in passeggiate di shopping frenetico, con la faccetta stanca e gli occhi curiosi, un trancio di pizza gigante tra le mani corrono verso una giostra a chiedere: ‘Un giro, un giro ancora’. Davanti ad un quaderno bianco di alfabeti da imparare o sotto coperte a quadri, sanno appisolare un capriccio. Non perdono tempo i bambini, respirano risvegli d’entusiasmo, ogni giorno come fosse una sorpresa, un biscotto buono a colazione e un amichetto nuovo da aspettare al banco. Scompigliano i capelli alle abitudini in domande infinite di risposte scocciate, e, in ogni cartone, eleggono un eroe che sia il loro. S’innamorano di noi, amano i nostri segreti, li riconoscono senza dirci nulla: un fiore in mano e nell’altra una carezza per le nostre debolezze, sulle nostre ginocchia e gli occhi immensi. Le guance accese e una Barbie da svestire, vasche di schiuma profumata e pantofole in un letto di capriole. Sono così. I bambini che non ascoltiamo, che maltrattiamo, ricopriamo d’inutilità, che rimpinziamo di obesità nell’anima, che affidiamo ad un palco, alla ribalta delle nostre aspettative, cui insegniamo ad essere ‘migliori’, in gara con la vita e sempre in pole position. I bambini che chiudiamo nell’auto e dimentichiamo, che rendiamo figli di solitudini da colmare, che vestiamo chic per sentirli speciali, che stremiamo per strada a impietosire i semafori. Ecco, li guardiamo e ci scopriamo a commuoverci quando il sorriso non regge all’ipocrisia, quando essere ‘grandi’ non ci ha resi migliori, quando essere padri non è all’altezza. I bambini ci vogliono ‘belli’. E quando il tempo delle domande si spegne, ci mostrano il tempo sprecato, sanno inventare il tempo del dopo e ci rimboccano gli errori in perdoni senza ritorno.  Ci insegnano che un abbraccio può salvare da una notte inutile e che essere veri può diventare la nostra infinita difesa, che un animale può azzittire le nostre paure e una caramella può risarcire con lenta dolcezza. I bambini, sanno. Sulle altalene dei loro girotondi sanno arrivare lontano e ci guardano, zitti di inesperienza ma il cuore esagerato di bellezza. Giocano con la vita, traduttori indecifrabili del senso autentico dell’essenzialità, sprecata dalle nostre ‘ragioni’. Ci affidano la vita, nei colori della verità e nello stupore del loro incanto. Per aiutarci a viverla. E  per spiegarci un’infanzia, la nostra, che ci ha cresciuti, uomini.

 

4 pensieri su “Girotondo”

  1. È’sempre bello leggerti,i tuoi articoli sono veramente emozionanti,scatenano una ridda di pensieri ,di sensazioni ,di nuove conoscenze .I ns bambini ci insegnano tanto nella loro ingenuità ,tenerezza e complicità.Loro sono la luce dei nostri occhi.Grazie di cuore e complimenti.

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