Cultura salentina, Racconti, Scrittori salentini

Notte di San Lorenzo

di Lorenzo De Donno

Ph. Giusy De Santis: “Aurora sulla foce degli Alimini”

Aprii gli occhi a fatica, avevo le palpebre incollate da cristalli di sale. Sentii il contatto con la sabbia fresca sotto i gomiti, fra le dita delle mani, il disagio di indumenti impregnati dall’umidità della notte. La brezza mulinava fra i pini ed i ginepri, caricandosi dei profumi balsamici delle loro  resine, scuoteva i giunchi, raccoglieva l’odore acre delle braci, ancora fumanti in fondo alla spiaggia.
La risacca risaliva ritmicamente e disegnava la battigia di ampi archi, appena orlati di schiuma. Mi stava già bagnando i piedi nudi.
Con gli occhi ancora socchiusi salutai  il cielo che avevo di fronte, un  piatto cielo grigio-violaceo, ormai avaro di stelle, senza profondità.
(“Usa i colori piatti! – mi raccomandava  il professore Culiersi durante le prime lezioni di pittura, quando tentavo di dipingere un cielo  – che a fare le sfumature imparerai poi…” )
Verso levante, già si schiariva per l’alba imminente. Che ora era?
Abbassai gli occhi e osservai la linea dell’orizzonte dove, sorprendentemente, una fila  di nuvole si era già colorata di rosa. Sospese ed allineate l’una all’altra,  come pupi di ceramica  disposti su una invisibile mensola di cristallo.
Il mare era liscio, del colore del cielo, grigio-violaceo, metallico. Un vecchio diesel batteva nella poppa di una barca da pesca che, leggermente inclinata sul lato ove era seduto l’uomo al timone,  tagliava lentamente  l’acqua, lasciando sprofondare la rete nella  scia   che si apriva a ventaglio, fra le  nuvolette di fumo scuro dello scarico.
Un gabbiano, appollaiato su uno scoglio di calcare chiaro,  si rassettava le piume prima di  spiccare il  volo.
Poi vidi spuntare un frammento di sole, rosso. Si delineava, al di là del mare,  dietro le sagome di montagne scure: i monti dell’Albania, le propaggini dei Balcani! Li avevo sempre immaginati e mai visti se non così, dall’altra parte del Canale, al mattino prestissimo o quando, d’inverno, al calare del vento di scirocco, si stagliavano netti all’orizzonte,  con le aspre vette innevate del Monte Kjore, la montagna sacra, inespugnabile regno delle aquile.
“Sciroccu a mmare, muntagne chiare” mi  ripeteva, tanti anni prima, un anziano pescatore che aveva la barca al vecchio molo, a ridosso del lungomare di Otranto. Un proverbio marinaro  che mi avrebbe aiutato a capire quando le montagne sarebbero apparse, ben visibili dalla nostra costa.Come tanti uomini di mare,  quando era costretto a terra sembrava vivere in una dimensione che non gli apparteneva  più totalmente. I suoi occhi azzurri non seguivano l’ago con cui rammendava con maestria le reti, erano frammenti di fondale che cercavano incessantemente l’orizzonte.
E mi sembrò di ascoltare ancora l’eco della musica ritmata di una danza albanese, trasmessa sulle onde medie da Radio Tirana, fra un annuncio e l’altro di propaganda politica…-.

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