Cultura salentina, Racconti, Scrittori salentini

Tu eri sempre presente…

di Giuseppe Santoro
(stralcio dal romanzo in fase di ultimazione “LA TERZA LUNA DI MARZO”)

Tu eri sempre presente, già da prima, prima che ti conoscessi, prima che Otranto scrivesse la sua Storia, prima che qualcuno, in un’era lontana, si avventurasse ai piedi di quel mare dal colore cobalto e dopo soffrire unitamente agli Ottocento Martiri; e quando te ne avevo fatto un accenno di ciò che avrei scritto, tu mi avevi catalogato tra quegli eroi a combattere ed a resistere contro gli invasori, niente meno mi avevi scoperto alla loro testa.
C’eri, c’eri sempre tra le insignificanti proposte per la sera, che poi avremmo cancellato; c’eri sempre: il soffio che avrebbe sostituito e poi spento il ruggito della folla accaldata, la musica discesa tra le ombre che accompagnavano il brusio lieve, eri l’alito che avrebbe salutato il freddo chiarore della luna, antico compagno delle nostre determinate sensazioni, che avrebbero soffocato le urla dei cafoni che ingurgitavano lasagne e pesce fritto il cui olezzo si sarebbe allontanato tra le luci allampanate della notte matura.

Buia la notte e inquieta
sposava lenta i tuoi sospiri
e la solitudine dei tuoi sogni
– i miei ormai a farsi benedire -.
Era assai triste parlarti
sapendo che non avresti udito
non una ragione alitava che
potesse condurti altrove
già scialbe le immagini
più non rincorrevano
gli eroi dei tuoi mondi trascorsi
intrisi di flebili speranze
ma pur sempre in vita, e piano
ti sei lasciata prendere nel sonno
o forse fingevi ad occhi chiusi,
ma velati dentro.
La solitudine
la tua nuova, rinnovata solitudine
madre di negazioni e di inquietudini
aveva fatto suo il tuo campo in fiore.
Saresti tornata – speravo speravi –
in un nuovo ottobre ombroso e infastidito
ma la tua, la mia isola di magia
andando via affrettatamente
si era portata dietro un volto triste
ed un silenzio spento alle emozioni.

C’eri, c’eri sempre su quel litorale, che avevi eretto a tua dimora e c’eri su quella sabbia color sabbia, che più sabbia non si poteva, a immergere i piedi nudi e ricamare disegni che solo tu potevi creare.
C’eri ancora tra i canti appena lievitati delle mamme otrantine che sedevano accanto alla culla intente ad attendere Morfeo che accompagnasse i sogni celesti di una bambina, ed eri tu quella bambina.
C’eri sempre, eri il soffio malizioso della sera che aveva spento e poi sostituito il ruggito della folla tra i vicoli storici di quel Museo; eri musica lieve calata tra le ombre amiche che avrebbero accompagnato gli ultimi sospiri del dio Meriggiare; eri il mormorio lene dei rami di quercia dondolati da un’unica bava vellutata levantina, che si apprestava a raccogliere le prime stille di rugiada per dissetarne i petali, linfa di vita che non avrebbe mai avuto fine; c’eri ed eri l’alito che avrebbe salutato ed accolto il freddo e riservato chiarore della luna, che ancora sarebbe stato il compagno antico e nuovo delle nostre singolari sensazioni; c’eri sempre ed eri la nenia che avrebbe fatto intimidire e spengere gli schiamazzi di un gruppo che tentava di accapigliarsi per una scommessa senza senso.
C’eri quando il tenue sciabordio delle onde avrebbe accarezzato il tuo corpo nudo e limato le tue vampe.

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