di Luca Crastolla

(con una nota di Alfonso Guida)
verso Craco
sulla crosta, l’acqua serpeggia
mostra la mela, nasconde la coda.
Sul cuoio del pachiderma d’argilla
terrestre, crea e corrompe
il vaso, strade e camminamenti.
Sufficiente un oggi; domani se domani:
una religione di mosche cavalline
in odore di sterco, non distante di greggio
Ieri, da qui non è mai passato:
tutto minaccia un disastro antelucano
un’eterna fine.
a Craco
quel che rimane: materia che cede
tempo immobile. D’argilla
scafandri di fantasmi. L’aspra serenità
di trovarsi allo smarrimento tra simili
serenità disordinate, faglie, calanchi:
un urlo; un’intera Giordania muta
nella vertebrata polvere di quattro rabdomanti
caduti nella questua dell’acqua. Madre
che dormi un sonno di mille anni
poi scuoti il capo e radi al suolo le mosche
da Craco
Sollevai la crosta del Sinni e
allunai profondamente: stralunai.
Scotellaro nella tasca del pane
le macerie geologiche tra i denti
Tutto un ossario insorge
prosciuga le reliquie, ustiona l’avverbio.
Ogni cento caduti una croce di cicoria
malata. L’estrazione una mala sorte di midolla
“Sono tre poesie con una Lingua, un segno di riconoscimento, quello di Luca Crastolla. I versi disposti lungamente o secondo brevitas : doppi settenari e quinari, tutto scioccante di improvvisi. Sono componimenti di sicura consistenza prosodica: il ritmo non è poi tanto sillabico, ma commisurato alla distanza tra una fola e un’altra del respiro, che qui è fiato, alito, aria con un odore, senza profumo, senza invenzioni umane, solo il tanfo dell’umidore delle argille e delle capre nere che si arrampicano tra rocce scabre a Craco, villaggio delle lontananze. I turisti nei paesi abbandonati mal si addicono a queste solitudini di tettoniche deformate e faglie mai riassestate; le ferite della terra sono solitarie. Queste poesie, mi hanno rievocato laconicamente uno stile, espressionista, grumoso e pastoso come di chi scava dentro la parola come grembo o tomba, sporcandosi destinalmente le mani. Ho pensato nei contenuti a una poesia che raccontando una storia lo fa con una parola dotata di retroterra, di estensioni retrostanti. Una parola che è già origine e da cui altre parole non possono che partire, farsi flusso o taglio. Ma qui il divenire è stato come pietrificato, mineralizzato da un occhio fotografico da geologo o speleologo. C è la vera, reale immobilità del paese estinto, mai morto. Le fratture, gli enormi interstizi in cui ti sei addentrato hanno registrato un eterno quando si posa sulla polvere.” (Alfonso Guida)