di Cesare Minutello
Incanalare in qualche modo l’opera di Emilio Villa sarebbe come voler castrare il suo essere stato probabilmente uno tra i poeti più radicali, indipendenti, innovativi e sotto certi aspetti anarchicamente rivoluzionari nell’Italia del secondo novecento, e forse per tutto questo in parte dimenticato se non addirittura ignorato, isolato da buona parte dell’ortodossia critica più allineata al convenzionale. “ Ti chiamo a gestire questo roteante imperversante silenzioso caos la limitata tempesta del nostro indiavolato nascondimento. La ribellione dell’immagine è pronta , preparata da tempo, e non c’è misura che si attesti ad arginarla o a liberarla” – E.V.- Sybilla (foedus,foetus)-. Del resto il Nostro oltre che poeta è stato artista a tutto tondo, saggista, biblista e collaboratore di numerose riviste d’arte e letteratura.
Egli, aprendo alla poesia la porta verso territori privi di confini, ha saputo costruire un’arte che, precorrendo i tempi, ha frequentato percorsi realmente mai prima frequentati, nella faticosa ricerca di qualcosa di non precostituito, volgendo il passo in ogni direzione , in compagnia di lingue morte e lingue vive, in un girotondo di italiano, latino, greco, francese, inglese, spagnolo, dialetti e gerghi vari, il tutto frutto di conoscenze etimologiche non comuni. “Il mondo addirittura è la figura dell’impossibile. E l’impossibile non è il vuoto” ebbe a dire durante una conferenza presso l’Accademia di Belle Arti di Perugia nel marzo del 1984.
“Tutta la pittura americana da Gorky a Pollock, fino all’ultimo che è morto, Rothko. Tutti questi, che hanno inaugurato un determinato rapporto della forma come materia e con la materia come forma, si sono sparati, si sono suicidati tutti. Tutti. […] Han detto: se noi siamo falliti, è inutile vivere. E si sono sparati tutti: chi è andato contro un albero, chi con la rivoltella, l’ultimo, mio amico, il più grande, Rothko, si è tagliato con una lametta. […] Qui non è successo niente. Là, invece, hanno pagato tutta la loro, diciamo, ribellione, che poi non era una ribellione, era soltanto un modo di rappresentare la vita in un altro modo”.
Per i tipi di Argolibri è ora in libreria “Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa”, a cura di Bianca Battilocchi e con la prefazione di Aldo Tagliaferri. Si tratta di una selezione di testi poetici inediti risalenti agli anni ottanta che partono dal sistema a più livelli simbolico dei tarocchi fino a spingersi verso territori sconosciuti dove leggibile ed illeggibile si confrontano in una dialettica linguistica terremotata e terremotante.
ogni incontro con un segnale
è mutamento nella direzione
dell’enigma
l’incontro è
legare x slegare
e insieme
slogarsi x logarsi
incontro è
violazione
dell’enigma
chaque carte
est un object
sans pitié
********
Milano
microsulci micro ulcera regni
et aranea ideologiarum
et microsemita Sortis
imago civitatis, progressio gentis
le finestre slabbrate che emettono
muggiti mugugni
e lugubri mignatte si scaraventano in orbita
e i simulacri fraintesi
fili di inferni e di thermopolii
dietro stanghe di rivolutioni
*
I MIEI TAROCCHI SON FATTI
i miei Tarocchi son fatti
per
uscire da:
gabbie
labirinti
buchi
tubi
pozzi
gallerie
circoscrizioni
mandamenti e comandamenti
circondari
Bisogna tirarsene fuori !
da: “Rovesciare lo sguardo. I tarocchi di Emilio Villa”, a cura di Bianca Battilocchi, prefazione di Aldo Tagliaferri, Argolibri, Ancona, 2020
Nottata di guerra
La notte che c’era il nubifragio, molte mamme
addormentate nella piena con la lingua secca,
io cominciavo a immaginarmi la ragazza
che adagio se la sfoglia, e dice: «ce l’ho lunga,
rara, rosa, bella» e trema come una foglia:
e l’erbe parvero sanguinare sotto la forbice dei lampi,
e noi non per niente dovevamo pensare alla salsa
inglese, alla trota moribonda con gli occhi nel sugo
delle vetrine tra le foglie di senna, con il prezzo
al minuto sul banco marmoreo, e alla stadera: allora,
primizia colore di pelle di pollastro, filamentosa,
una figliola in bianco poggiava le sue tette stagne
sul cristallo delle bacheche, e con il mignolo
piluccava l’uvetta nel mollo del panettone:
era la notte che c’era il nubifragio, e molte
ruote di lontano perdevano i tubolari nella palta,
e una zona di ragne baluginanti per l’aria alta,
orme sovrane e incerti passi sull’immobile
insonnia che divide i morti di qua dai vivi di qua.
Le parole
Una stagionaccia di tumescenti avvoltoi,
svignate le mogli per mancanza di cibarie di scandali di orgasmi
e d’altre storie, toccherà dimenticare con indifferenza, e con sentita
espressione, i campi spremuti dagli amici intimi, i terreni
recinti, i verdi trapezi con i lampi pomeridiani, i tiepidi
screzi della primavera nazionale dietro i terrapieni, e le fontane
occulte del sapere grano a grano le similitudini dei fiori
dei venti dei trafeli nei luoghi non segnati, e le settimane
che nei chiasmi risorge la carne unanime-inanime nei chiasmi
e massacrare il gallo forbito tra i brughi lombardi
il gesto che trafughi alla notte il sangue fresco gli alberi e le alte
quote degli astri vanitosi, e la polare che valica i sentieri
delle ascisse, e risospingere proprio così
contro i drastici orizzonti frantumati dai tamburi i candidi fantasmi
e sfogliare le direzioni ortogonali e nelle vuote
sfere annusare le ferraglie tra le rose paniche e il sentore
di rugiada dai poderi avversi e il crudo
raziocinio delle millesime angolature divelte nel guizzo delle trote,
le cuspidi sonore degli shrapnell e il cielo nudo
lento delle azalee,
vero che tu vedevi nel liquore dell’atlantico con gli occhi
della vita intera, e concepivi le termiche metafore
e le ipotesi grandi ottemperare alle medesime
cause influenti delle maree, e delle volte
climatiche che accadono nello sperma degli squali bianchi?
quindi in un impeto unanime bevemmo in coro
gli insiemi, e uno per uno il soffio amato della sola inquietudine
che rapinava l’ombra e decimava i fatui
semi delle consuetudini verbali, i risplendenti
rameggi dell’uranio e il vero ulivo
d’oro nella più cheta tenebra del quarzo, e il fiume
vivo delle arterie che risale il lume-lavoro degli scheletri.
da L’opera poetica di Emilio Villa, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, postfazione di Aldo Tagliaferri, L’orma Editore, collana fuori formato, Roma, 2014