Comincia col dire quello che avresti voluto
fare dire capire i palchi la nuova casa
che io mi sento ormai morto anche
se a quest’ora in piazza a Martano
l’Emporio è quello che più mi attrae
i Coloniali queste scritte che conservano
la fragranza dei tuoi padri di pasticcio
le sciocche cortesie di vecchine di velluto
per me distratto al tramonto
vinto da maliose scoperte gli occhi nel vuoto
come sempre…come sempre hai saputo
faccio qualcosa qualcos’altro come assorto
sbatto il tacco la scarpa la svuoto
accendo prodigo una mezza sigaretta passo di nuovo
con baldanza la fiamma sul retro che va in bocca
la ombro
(la poesia odora è poesia da tutte le parti
ed io mi fingo lo specchio in cui trafugo
quei sogni accorti che ti racconto – Totò e Paola
in luminoso silenzio girano in questa valle d’incanto
allegri delusi come briganti scaltriti
ironici fumosi a Maglie a Lecce nello spazio
che la morte regola con colpi all’aria vuota bruciacchiata
nello spazio poetico dove stasera
brancola con noi anche Edoardo)
tu l’Adùnia sospettosa sognatrice vinta appena
consumata quasi nella dolcezza del riserbo…
quali immagini ti ridaranno –incantata la vita-
le occasioni perdute
il passo lungo leggero di gazzella
la porta specchio che abitavamo (c’è una foto per questo
anche per questo
per rodere il tempo che ha saputo fermare
forse silenzio vanità pensosa
il riflesso di una femminilità preoccupata
il ghigno inesploso in un mattino d’argento!)
le risa fragorose diventate oggi buffi tentativi
con la mano sulla bocca (la ombro la ombro)
ed è un po’ tardi forse per ritessere qualcosa
tu con le tue ancora buffe matite
il cortinaggio di ragnatele
io coi miei guai di scrittura
bambolo disposto ad una segnatura in più
ad osannare un candore che non riesco a far mio
con le mie fughe scoperte lì a Sciaffusa le nostalgie
di Piazza Maggiore il poco conto della vita…
son qua adesso ma sono dappertutto
col piede dondolante su questo nero ferrato a Galatina
in questa calma (Cristo, ma come faccio?) gonfia di allori
rotta dal grido corto di mio padre
…ma grida a me o saluta il treno come sempre?
-da STEFAN (1981/1982) in Il pane sotto la neve, Kurumuny, Calimera, 2003-