di Mimì Mastria
Con il primo leggero aumento delle temperature sotto il balconcino nel cortile e dietro i rami contorti del gelsomino sono sbucati i primi gechi. Ho imparato da un po’ di anni a conviverci per gran parte dell’estate fino all’autunno. Le mie finestre sono schermate dalle zanzariere e questo mi rilassa, perché, pur sapendo che sono innocui da sempre mi hanno provocato un senso di ribrezzo, soprattutto quelli più grandi che mi sembrano coccodrilli in miniatura e ho il terrore che qualcuno possa entrare in casa. Si dice che portino fortuna! Mah! Di certo sono importanti e necessari. Con la lingua fulminea, immobili dalla loro postazione, agguantano le prede, soprattutto zanzare, piccole falene e insetti vari che popolano le piante. Quando ho letto che i gechi sono dotati di una sensibilità cromatica trecentocinquanta volte superiore alla nostra, li ho rivalutati. Ero già stupita dalla capacità delle loro zampette a ventosa di aderire e scalare pareti altissime e rimanere immoti per lungo tempo. Mentre mostrano una timidezza guardinga cercando di passare inosservati, le pupille verticali dei loro occhi divaricati ai lati del capo, puntano le prede e in un attimo sferrano la lingua e le inghiottono.
Il geco da un po’ di tempo sembra essere diventato una sorta di simbolo del Salento (d’altronde non c’è muretto a secco o vecchia abitazione che non ne ospiti uno): sui cancelli delle case di campagna spuntano sagome in ferro, segnaletica di locali e ristoranti con impressa l’immagine del rettile e c’è anche chi se l’è tatuato su una caviglia.
Qualche tempo fa uno “street artist” a nome Geco o Gekko “imbrattava”, come diceva qualcuno, i muri di Roma e di altre capitali.
Questo piccolo rettile ha quindi conquistato l’interesse di molti per le sue straordinarie caratteristiche ed è già comparsa qualche poesia ad esso dedicata (tralasciando Calvino che in “Palomar” ne fa una sorta di “ospite” piacevolmente atteso).
Riporto una poesia di Giuseppe Amato (Casapesenna, CE)
Il geco
Solo un raggio di luna
rischiara la notte
al geco fedele
M’aspetta in tettoia
accendo la luce
appresto la chiave
al rientro
e lui c’è
Fisso senza apparente respiro
fermo in attesa d’eventi
immobile come una stella
essere arcaico
riassunto del tempo
Ti lascio alla luna
nella penombra del muro
nell’edera rasa
vicino allo spento fanale
onde vivi d’incaute falene