di Titti De Simeis

Tutto. Ed il contrario. La gente sa. Sempre. Dice per dire e per sentito dire. Non si cura se è vero o non lo è, se è giusto oppure no e poi, si scorda. Passa ad altro. Nuovi giri, altre mete, altrettanta curiosità. Alla gente piace sapere: sfruculia, origlia, guarda, spia, non si dà pace. Dietro una finestra, una tenda, al tavolino di un bar: sbircia, aguzza, memorizza e semina. Ovunque e controvento. Al buio o contro sole. Ma la gente non sa che oltre un vetro tutto è più ovattato, il sottovoce non arriva, il labiale può ingannare, il ‘giravoce’ non è un gioco a premi ed ogni cosa non è come sembra, che al centro di ogni storia c’è sempre un sentimento e quasi mai sono rose e sono fiori. Non sa cos’è il rispetto, la gente. Cos’è la verità. Si accende di giudizio su chi sbaglia, su chi è diverso, chi chiede silenzio per non soffrire. Su chi è indifferente alle sue ciance, passa dritto e non la vede. E rosica, la gente. Del bene, del bello, scivola sul pulito e sguazza nelle pozze di male odore. E si nasconde con bugie e malafede, maschere di rosari votati a falsità. Non ha specchi in casa, la gente. Li ha tolti tutti per il malaugurio di frantumi e pena a sette anni. La gente non si guarda. Di sé non ha da dire. S’inventa una vita nella vita, ma mai la sua. Sale e scende da scale ripide ma son sempre gli altri a farsi male. Niente le piace e di tutta l’erba sa fare un solo fascio. Ha armi taglienti, ha lingue affilate e occhi senza ‘scuorno‘. Ma non sa, la gente. Che quello che semina poi, si perde, quello che dice si dimentica, ogni impronta si cancella eppure, tutto torna. Torna, torna. E quando torna non avvisa, non bussa, non manda a dire. Restituisce, sempre, per intero. E quando fa male, non chiede scusa. Il conto è lungo ma nessuno fa più credito e le tasche vuote insegnano sempre, anche a chiudere la bocca. A testa bassa e uno scranno in prima fila: preghiere da sgranare a lavarsi la coscienza in pentite spoglie e i mormorii deposti fuori sul sagrato, ad aspettare il vociare di nuovi ‘cummaraggi’ da abbeverare domani, a ventate nuove, in prima pagina.