di Mauro Macario
Polena, donna e mito delle prime acque, l’acqua amniotica che fende l’involucro per uscire in altri mari, per la ciurma che la insegue e non raggiungerà mai, perché lei sta davanti a tutti, è un sogno tra il cielo e gli abissi, è madre del mondo e amante di Ulisse, ogni uomo è Ulisse, la Polena è amante di tutti e sposa di nessuno. E’ la più bella donna del porto, per i marinai che la guardano, per i poeti che la inventano. Polena notturna, solitaria sotto la luna, ferma in darsena, come un vessillo o un ricordo incastonato nella memoria di chi ne piange l’immobilità e lo sguardo fisso nell’altrove.
Polena dal volto cangiante, dalle metamorfosi che assume nei desideri ubriachi di cantori ciondolanti, affranti dalle lontananze, inginocchiati a quel busto ligneo che il tempo non incide di crepe né il vento salmastro delle tempeste muta d’espressione. Polena è una donna scappata da una casa in burrasca, conosce i mari impietosi che travolgono l’anima tenera, flagellata, erosa, sommersa da una rotta perduta e alla deriva. Polena è malinconica, vorrebbe che mani amorose la staccassero da lì, da quella crocifissione senza grida né pianti, e la portassero a riva, dove il suo corpo si trasformerebbe in sirena e poi in donna viva. Nessuno rompe l’incantesimo antico che l’imprigiona. Polena fa la guardia ai sogni e alle nostalgie degli altri che non sentono la sua voce di dentro, né il suo gemere sensuale, estenuato di risacca, quando quelle mani la lavano per timore che invecchi al sale marino prima che il viaggio finisca. Quando il viaggio sarà finito, ogni uomo tornerà a casa dalla sua Polena invecchiata davvero, insonne si alzerà di notte a pensare a quella finta, mai così vera, eternamente giovane che nello sciabordìo del porto dà l’addio ai suoi amanti mai amati. Lì , dove nelle notti lontane, affidavano al suo ascolto discreto i racconti della loro vita navigabonda, hanno lasciato i sogni, le attese, le speranze, le promesse, di un avvenire già tutto vissuto. E Polena sorride ai sogni degli uomini. Ma non dorme mai.
Così l’autrice un po’ Polena un po’ Falena salpa da un mare interno, rompe l’ampolla amniotica per partenogenesi, espandendosi nell’acquario dell’altrove, quello è il suo mare, alla ricerca di un nuovo mondo, un arcipelago inesplorato da circumnavigare fendendo le acque salate delle sacche lacrimali, una navigazione cieca nella notte esistenziale guidata dagli odori che ristagnano nel passato, dai visi di marinai buoni e capitani cattivi, da una mitologia privata cristallizzata nel tempo tascabile, come una bussola dell’eterno ritorno di cui non perde la strada pur fuggendo da casa, pur rimanendoci chiusa nel suo guscio. Non butta via la chiave, non recide il cordone ombelicale gemellare delle sue radici, non può ignorare le sue origini dolorose, può solo cadere dentro la propria voragine, dar fuoco alle polveri e salvare il salvabile. E’tenace questa Polena nell’affrontare le tempeste inattese, i distacchi, gli abbandoni, nel respingere la tentazione di staccarsi dalla chiglia quando gli scomparsi, le loro voci, si fanno sentire, è Penelope, non Ulisse, ad affrontare i canti e le malìe di chi mai scomparso dal cuore, ma trattenuto dal suo stesso sangue riemerge come volto sulla cresta di un’onda che tutto parrebbe ricoprire. Ma è tenace questa Polena a dirigersi fuori pericolo malgrado la mano tesa a chi si sta allontanando sempre di più. E c’è un altro mare infine dove Anna veleggia in regata solitaria, un mare di vetro : la sua poesia. Mai ho sentito la sostanza del vetro, sottile, fragile, nitido, nei versi dei poeti contemporanei. Li ho sentiti contorti, glaciali, tecnicistici, o sanguigni, viscerali, tumultuosi. In lei, di vetro. Vetro infrangibile, s’intende, ma portatori di una grazia rispettosa, di una laica sacralità, di una delicatezza antica in ambito moderno. Scrive con una brezza leggera sul viso. Come una Polena. E sorride ai sogni degli uomini.
Ma non dorme mai.
****
LUCCICANZE
Somiglia tanto
alla peonia
fra i verdi,
quando s’affranca,
dopo aver nutrito
radici agli arbusti.
Ché esplodessero
vanti di bianchi,
sfumature di rosa
fino al furore dei rossi,
di gialli,
fino all’azzardo
di arancioni.
Questo esser già noi
sogno,
prima ancora dei trionfi.
Questo tenere in serbo
parole alla rinfusa,
prima che
si affranchino
dentro un verso.
Tu chiedimi l’argento
dietro un clivo;
ti darò la luna,
un riverbero sull’acqua,
un’ombra china
su un ricordo.
Ma se restassi così,
ripiegata così
dentro al sogno,
aspettando
che siano i petali
a spalancarsi,
fino al cuore della peonia,
fino al cuore.
****
RUNA
Sussurrami il segreto
dimmi dei risvolti del tempo
di tutti gli irrisolti.
Parlami all’orecchio buono
quello che non perde
neppure un sibilo di speranza.
Ché domani se anche pioverà
mi chinerò su una pozza
a sorseggiare il primo raggio
per vederlo crescere di misura
salire fino agli occhi.
Sussurrami il segreto
dimmi del dolore
intagliato nell’ogham.
Narrami l’inverosimile
di un cielo capovolto
a sfiorarmi il viso
con carezze d’azzurro.
Ché c’è più verità
in un gesto di dolcezza
che in una parola cruda
dietro una porta chiusa
a tutti i venti.
****
TU
Tutto quell’azzurro
in fondo agli occhi
sono cieli caduti
sul cuscino di notti
addossate ai colonnati
di tanti ieri
che non divennero
domani.
E le tue mani
sono dell’ultima poesia
scritta mentre fuori
il glicine rimboccava
il buio
sui racemi viola
e il salice chino
leccava la saliva
di un bacio
ancora da fiorire
da rifiorire ancora
sull’ultima bocca .
La tua fronte
è crocicchio di venti
capaci di incendiare
foreste,
geografia di fiumi e maree
di pietre e licheni
di cadute e voli
risalite e guadi
partenze e ritorni.
?Quale polvere
hai alzato cadendo
?Quale vento
non hai colto
nel fallimento
delle mani.
?Quale pietra
sei stato
sotto quale sole.
?Quale acqua
ti ha battezzato,
nel nome di chi.
?E tu come farai
la voce
?Con quale nome
mi battezzerai nel tuo
?Come farai il silenzio
al suono della mia
?Come farai il fiato. Tu
****
FARMI CORPO SOLUTO
Quando esorti a volermi bene
vorrei mi insegnassi
a uscire dal corpo stagno
di fluttuanti ragioni
a mettermi a lato degli accadimenti
per non farmi trafiggere il fianco
da avventori della domenica.
Quando esorti a volermi bene
mi porteresti poi
sul palmo di una mano
come un monile caro agli occhi
assetato di luce?
E dimmi dimmi
quand’ero duro mallo
prima del gheriglio
mi avresti portata alla bocca
per maturarmi il seme
nel tuo fiato caldo?
Farmi corpo soluto
solo per abitarti il cuore.
- ANNA LEONE, POLENA, Puntoacapo Edizioni, 2020
L’ha ripubblicato su intermittenze- scritture di Anna Leone -altre voci-e ha commentato:
Grazie a Cultura Salentina per lo spazio che ha dedicato A “Polena ” mettendo in risalto la prefazione di Mauro Macario e pubblicando alcuni testi. Grazie in particolare a Cesare Minutello
"Mi piace""Mi piace"