di Cinzia Anna Rizzo
Arco non è una città. Arco è un ponte tra le due montagne gemelle della catena sud-occidentale del Magis.
Sul largo impalcato di pietre bianche, quarzo e madreperla passano le carovane del Lunai, contrattando spezie e profumi.
Le arcate imponenti si perdono tra le nuvole d’argento e d’albicocca della valle del sole.
Non ci sono giorni ad Arco, ma una serie interminabile di albe e tramonti, in una continua luce crepuscolare, che sulle piastre di apatite delle fiancate crea sfaccettature e giochi di luce iridescenti.
Non ci sono notti ad Arco e non ci si ferma a cercare ristoro.
Arco è il continuo divenire, lo scorrere stesso del tempo, segnato dal passaggio dei mercanti dai cappelli a punta e le pantofoline di seta.
Non ci sono stagioni ad Arco ma, a volte, il vento canta remote melodie che fanno vibrare le grandi trappole per i sogni appese alle campate.
Allora tutti si fermano, chiudono gli occhi e catturano i sogni di chi li sta sognando. E i sogni diverranno nuovi aromi e volute di kashmir.
Poi il vento si placa e l’andare riprende.