di Luca Crastolla

e sul labiale fermandosi, non retrocedendo
ad alcuna forma intelaiata dell’idea
non dire, diluire: fioritura algale
in poche dosi di suono, svilendo
saccenze di luce, blasoni di senso
Vegliavo allo stesso modo
prime ore del mattino, le sembianze
la falena, il retrogusto morbido della notte
Tutto quell’invocare la dismisura
che cede ai millimetri
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le freatiche faccende
il ruminare meridiano, i presentimenti
i venti sabbiosi e flegrei, le stagionature
La camicia di forza di mia madre, le tue
camicette, gli asfodeli dai polsini.
I ceffoni rinfoderati per la grazia capillare
le esplosioni d’inchiostro e gli ossi di seppia
le stelle marine, le tammurriate di mare
Il tarassaco e le disseminazioni
le anemocòre vegetazioni. Le pietrose
steppe di pane, il grano arso nelle mani
pallide dei gourmet. La luna ellenica, la radice
del continente in tinozze di ruggine. I vini analcolici
le manageriali invenzioni, le insistenze
L’editoria delle stampanti, la dispersione
I fichi d’india polverosi, i binari morti lì in mezzo