di Augusto Benemeglio
Il nuovo libro di Nicola Apollonio, “Memorie di un cronista” (edizioni “Espresso Sud”,2022) , non mi sorprende affatto. Da un uomo che ha compiuto gli ottant’anni , che ci consiglia Davide – come disse Borges – poco c’è da aspettarsi , fuorché l’impiego consapevole di alcune abilità , qualche leggera variazione e parecchie ripetizioni . In realtà il libro che pubblicò lo scrittore argentino, “L’oro delle tigri”, testimonia uno dei periodi più intensi e fecondi della sua attività poetica e ne documenta un volto nuovo , una diversa tonalità, più lirica, più personale, più intima. E’ un po’ quello che è accaduto con questo libro circolare, che è un valzer di ricordi nei cieli più alti e disparati delle avventure di un cronista. Come diceva Rilke ne “I quaderni di Malte Laurids Brigge”, per scrivere un solo verso occorre prima aver veduto molte città, molti uomini e donne, molte cose . Occorre poter ripensare a sentieri dispersi in contrade e mondi sconosciuti; a incontri inattesi; a partenze da lungo presentite imminenti; a giorni trascorsi in stanze silenziose e raccolte; a mattini sulla riva del mare; a tutti gli oceani attraversati; a notti di viaggio che scorrevano altissime vie , volando sonore con tutte le stelle. Ma tutti questi ricordi solo quando si fanno in noi sangue , sguardo , gesto , in un attimo rarissimo di grazia , diventano poesia.
Roma
Apollonio non ha cercato versi , ma ombre “chiare” , il cuore segreto, le gallerie del sogno, le viscere della terra, l’occipite, lo scheletro dell’uomo antico, il ricordo di una scheggia e quello di un tramonto solitario che si dissolve in argento, in ombra, in niente. Ha iniziato a ritessere la tela dei ricordi più lontani delle sue memorie di cronista , dai fili d’oro della sua prima giovinezza, ripartendo da Roma, coi lampi e le “vampe”, i sogni e le speranze che sono proprie dei giovani. Roma, “città eterna”, “centro del mondo, del corpo e dello spirito, splendore e fessura della storia, vortice delle apparizioni e sparizioni”, dove approdò alla fine degli anni Cinquanta, con l’idea , il chiodo fisso di fare il giornalista professionista, di cui ha già scritto in “Quando andavamo a via Veneto”, un bel libro, davvero originale , che merita di essere letto e riletto , divulgato tra i giovani, nelle scuole , nelle università dove ci sono le facoltà di giornalismo . E non lo dico soltanto io, ma anche e soprattutto il suo grande amico giornalista-scrittore Vittorio Feltri: “Che meraviglia questo tuo libro, Nicola! È come se fosse la storia,- quella minima, lieve, leggera, senza pretese, quella degli amici di bisboccia, che non si sono mai lasciati, – ad entrare in noi, aprendo il nostro cuore”. “Erano anni, – dira lui stesso – in cui tutto sembrava possibile”. E guai se così non fosse stato per uno come lui , tenace inseguitore dei sentieri dell’utopia, che è sogno ma anche follia, passione, spazio di conquista, rischio e agonia. Il suo canto era la scrittura, semplice, immediata, essenziale, concreta, parole vive che si facevano cronaca in cerca di un “barlume di verità”.
Vocazione
Quella era la sua vocazione, la vocazione di chi decide di fare una certa cosa con tutto se stesso e non può sottrarsi al suo destino, alla sua ragione di esistere. Ma c’era in lui, soprattutto, una stupefazione, una grande fame di esperienze culturali, uno slancio e una curiosità esistenziale nutrita di una dirompente carica liberatoria. C’era il rifiuto degli schemi moralistici nel giudicare fatti, eventi e personaggi, e un invito costante a “cantare lo spazio”, una vacanza dello spirito con occhi ben aperti, una capacità di interagire in tutte le occasioni e nelle sue azioni. E ciò si realizza magnificamente nella mitica “Via Veneto”, strada-teatro più famosa del mondo, “magic moment” del gaudio universale, premio Nobel della “Nuova Frontiera”, Oscar del divertimento in un mondo pieno di dicotomie, innocente e galeotto, pudico e libertino. Come un’ondata , uno tsunami di memoria , tutto ciò si ritrova intatto nella prima parte del suo libro, una specie di caleidoscopio di immagini e sogni, di significati grandiosi e armoniche farneticazioni.
Lecce città bionda e gentile
Ma Apollonio racconta sessant’anni della sua vita da giornalista, e quelli erano solo i primi passi, i primi “salti” di un tessuto di straordinaria energia, da cavallo di razza salentino, con cui ha costruito (inconsciamente o no) la sua carica di empatia naturale . Paradossalmente tra i tanti di personaggi che ha incontrato , bussando un po’ a tutte le porte delle redazioni giornalistiche romane, è stato accolto , con un sorriso spianato, da uno “straniero” che gli ha aperto la strada per realizzare la sua vocazione, uno che ha incontrato fortuitamente non nella fastosa via Veneto , ma in un “baretto“ di via Emilia dove tra un «mi scusi» e un «si figuri» per una spallata accidentale”, s’ imbatte in un “ giovane giornalista francese trapiantato a Roma, Daniel Harvey, capo dell’ufficio romano di “Stop“, una rivista di gossip fra le più diffuse in Italia, se non la più venduta, con una tiratura di un milione e duecentomila copie settimanali , e ben presto acquista notorietà, potremo dire oggi da “Iena” ante litteram, ( anzi, “Iene” , tu insieme al più famoso dei paparazzi, Rino Barillari) e conosci alcuni dei personaggi più famosi, direi “mitici”, del mondo dello spettacolo e dell’arte . Su tutti Fellini e Totò, ma anche Mimmo Modugno, Pippo Baudo, Sergio Leone, trascurando una sequela impressionante di altri artisti, giornalisti, scrittori, divi della TV e del cinema con cui si potrebbe compilare un prontuario , una nuova Enciclopedia dello spettacolo degli ultimi sessant’anni, Citiamo solo tra coloro che hai frequentato più assiduamente Anita Ekberg,, Walter Chiari, Alberto Bevilacqua. Patty Pravo, Massimo Ranieri, Peppino di Capri, Loretta Goggi, Lando Buzzanca Severino Gazzelloni , e Ugo Moretti, giornalista, scrittore, sceneggiatore , poeta che venne al seguito del Giro d’Italia che faceva tappa a Lecce e scrisse questo elogio della Firenze del Sud: “Quando scende la notte , Lecce riluce come una rosa d’argento. Credevamo di arrivare in una città invece siamo entrati in un fiore, in una rosa. Così appare Lecce nel cerchio antico delle sue mura corrose che chiudono morbidi intrighi di strade tra case chiare disposte a larghi cerchi intorno al suo cuore di marmo. A rivederci , città bionda e gentile , porta d’Oriente, rosa d’Italia, città linda come un salotto”.
La guerra dei sei giorni
Forse cominciava già a rendersi conto che era iniziata l’epoca della “società di massa” , in cui l’individuo non conta più, è solo una particella indifferente di quel mostruoso meccanismo che fa perdere agli uomini la loro individualità, le loro terre, le loro case, il loro passato e il loro avvenire, la loro vita e la loro morte. O chissà, forse ascoltando il flusso della sua corrente interiore, – dopo il travaso di emozioni e di notorietà fatto di lustrini specchi e caos , “l’insostenibile leggerezza dell’essere”, – fece una scelta inaspettata e radicale: decise di abbandonare la carriera di “gossiparo” ben remunerato per fare il giornalista freelance impegnato . E così dai cieli mitici della “Grande Bellezza” di Roma, se ne va nei tini ribollenti della Palestina , esposto a gravi rischi personali, in quei cieli gravidi di polvere biancastra e bombe, nelle alture del Golan, o di Gerusalemme in cui s’ode ancora la voce di Cristo tra le piume di fuoco , tra nuvole rosse come frecce di sangue , come tagli nella carne del cielo che danno brividi di una liricità cristallina e metafisica. E partecipa attivamente alla famosa guerra dei “Sei giorni” , portandone ancora i “segni”: “un proiettile nello stinco della gamba destra giunto fortunatamente freddo. “Per me, è un po’ come una medaglia tenuta gelosamente nascosta”.
Miniere del Belgio
Poi , come un danzatore di spade, fa nascere l’impulso all’azione impavida, un cambiamento del suo corpo e della sua mente, nell’equilibrio e nella pressione , nel tono
e nella determinazione. Lancia ancora una sfida. Se ne vai a fare mazurche nei cieli murati delle miniere del Belgio, nei terril, nelle ciminiere, a mille metri di profondità, nei pozzi, nelle gallerie dove lavoravano migliaia e migliaia di emigrati italiani, trattati come cani , e, tra questi , tanti salentini come Carlino, Cazzato, Romano , Caggia , tutti reduci dell’antica miniera di Beringen, che ricorderanno le sue parole: «Io voglio scendere nel pozzo, voglio vedere com’è la vita nelle gallerie, ma soprattutto mi voglio avvicinare al “fronte“, dove si estrae il carbone».
Milano e Feltri
Dopo un’escursione nel cielo di Parigi, se ne va a cercare lavoro nel cielo nebbioso della industriosa Milano, “la capitale economico finanziaria e culturale d’Italia”, dove ha fatto il cronista al “Corriere d’Informazione” diretto da Gino Palumbo . Lì era insieme col giovane Vittorio Feltri, che veniva dalla vicino Bergamo.” A Milano c’era il Corriere della Sera con le “firme“ di Indro Montanelli, Enzo Bettiza, Guido Piovene, Egisto Corradi, Gianfranco Piazzesi e Corrado Zappulli, si pubblicavano anche Il Giorno, Il Sole 24Ore, Avvenire, La Gazzetta dello Sport e due giornali del pomeriggio, La Notte e il Corriere d’Informazione. Poi c’era la catena dei rotocalchi: “Oggi” e “L’Europeo”, “Novella 2000” e tutta la serie di riviste tipicamente femminili tipo “Bella”. Infine “Epoca” , “Panorama”, e “Gente”, che è ancora tra le più diffuse riviste italiane di attualità. Insomma, Milano come la vera capitale dei grandi giornali nazionali”.
New York e Ruggero Orlando
In quel tempo , Apollonio aveva trovato una sorta di lampada di Aladino. Bastava sfregarla per farne uscire il Genio , a cui potevi chiedere di esaudire qualsiasi desiderio. Però, prima, bisognava saper scoprire le altre vite nascoste in quell’oggetto, e le sue molteplici possibilità di utilizzazione , bisognava scoprire le sue incarnazioni più sorprendenti, ma anche i suoi pericoli, le insidie, i trabocchetti nascosti. Perché l’oggetto , qualsiasi oggetto , ha una sua voce, una sua volontà, una sua personalità. Prendi ad esempio una sciarpa. A quale universo essa appartiene? Al cielo? al mare? alla terra?. Oppure appartiene a tutti questi universi insieme? Allora può trasformarsi in pioggia, o in un uccello d’acciaio, un aereo che lo porta lontano, a settemila chilometri di distanza: ed eccolo in volo per New York, per “realizzare un reportage da pubblicare a puntate, quattro o cinque. Aveva quella sciarpa miracolosa che diventava nuvola o pioggia, quella sciarpa leggera, che gettava in aria come un mazzo di fiori e lei , fluttuando dolcemente ,
e cadendo al suolo in innumerevoli gocce di cristalli di pioggia bagnò la via, in cui entrava Ruggero Orlando , con il suo profilo bonario e la sua voce inconfondibile. “Non dimenticherò mai l’aiuto che ricevetti da quell’uomo straordinario che non avevo mai visto prima e che si era reso disponi-bile per regalarmi una montagna di notizie che mai sarei riuscito a procurarmi da solo”.
L’intervista al Re Umberto II
Sappiamo bene quanto sia importante il finale di un libro che gli ha impegnato la memoria e l’anima per chissà quanti anni. Il finale è un nodo in cui si riuniscono tutti i fili tessuti e intrecciati durante il lavoro che non è solo mnemonico, ma è fatto di tante altre cose, di recuperi e di antiveggenza, di profezie, inconscio, visioni , incubi e di speranze. Il vero finale è quello che s’incontra con il suo inizio, un’esperienza rara in cui le opposizioni si abbracciano e le polarità sembrano coesistere nella stessa situazione , in un solo corpo, in una sola azione, in una sola anima. E’ un regalo, un momento di grazia, che ci riempie di gratitudine perché ignoriamo il motivo per cui l’abbiamo meritato. Ed ecco allora il figlio del campione di ciclismo , Girardengo, che gli fa dono di una targa vinta dall’eroico mitico padre, oppure il minatore salentino che lo rincontra dopo tanti anni e gli dona la sua medaglia “ Era la medaglia con l’effigie del minatore con la quale, alla fine di ogni rapporto di lavoro, la direzione della miniera intendeva onorare i “musi neri” protagonisti di una straordinaria storia di migrazione economica del dopoguerra.
Salto, non senza rammarico , diversi altri capitoli del suo libro : il viaggio nel Libano , tra i fedayn, il secondo viaggio in America , tra Palm Beach e Beverly Hills, il Premio Rodolfo Valentino ideato fondato e condotto da suo fratello Carlo, il ricordo di Bettino Craxi, il viaggio in Svezia tra gli hippy , lo spettacolare valzer nei cieli di Galatina e del Salento , a 5000 metri di altezza e 600 km l’ora con i piloti del 61° Stormo , il suo amore per la lirica, Giuseppe Di Stefano, la Callas, Pavarotti , Edda Vincenzi e Magda Oliviero, il rincontro con Feltri e i mille ricordi che riaffiorano.
Chiudo qui anch’io, centellinando come un eccellente vino il suo “cameo”: la magistrale intervista al re di maggio, Umberto II, a Cascais, che è tutta da leggere e da gustare. In quella foschia che ci disorienta, il filo di Arianna è il lavoro quotidiano , il concentrarci sull’apparente concreta semplicità di ogni azione, a livello artigianale, con la precisione essenziale delle cose fatte bene che potrebbe essere una preziosa eredità per le nuove generazioni.
Il libro ormai è finito: facciamo una pausa, che è in realtà uno schiarimento. Poi riprendiamo a lavorare, caro Nicola, con le nostre energie rimaste, dolci, ironiche , ancora forti, che s’incarnano in azioni e diventano destino individuale , che forse si faranno storia. Alla fine comunque faremo ritorno alla nostra grande solitudine, ma speriamo sempre che esistano solitudini simultanee che s’incontrano per far innamorare…
Roma, 21 agosto 2022