Opinioni, Scrittori salentini

I ‘SENSITIVITY READERS’.

di Titti De Simeis

 

Giuseppe Diso: Olio su cartone

È una nuova professione: avrebbe il compito di rivedere, filtrare, cancellare o correggere, rendere moralmente adeguato il testo di libri scritti un po’ di tempo fa, quando eravamo tutti più semplici, lontani da possibili fraintendimenti offensivi e, se si diceva che un uomo era ‘grasso’, ‘brutto’ o lo si descriveva con la stessa spontaneità con cui lo si guardava, nessuno mai sarebbe arrivato a ‘depurare’ la nostra fantasia creativa. Perché non ce n’era bisogno. Non c’era alcuna malizia, mancanza di rispetto o cattiveria né, tantomeno, si veniva bollati come razzisti o simili. Oggi, invece, si ha il timore, anche durante una chiacchierata, di essere esposti a penalizzanti ed ingiuste considerazioni. Pare ci sia stata un forte evoluzione nella sensibilità delle persone rispetto ai tempi andati: significherebbe, cioè, che la gente, una volta, era meno riguardosa? Macché: i nostri nonni, più o meno istruiti che fossero, avevano il grande dono della buona fede, della genuinità, di quei valori che si insegnavano con l’esempio, senza bisogno di tanti manuali a grandi tirature. Si cercava di fare il giusto e di trasmetterlo ai figli, naturalmente. Ciò che ha sempre fatto la differenza sono, invece, state le ‘devianze’: il modo ‘degenerato’ di guardare il mondo. E la Storia è stracolma di esempi del genere. Che fanno riflettere e stare attenti, certo. Ma, meno male, non sono la normalità. Passare sotto la lente l’intera letteratura per prevenirne un’attuale lettura insana, mi pare eccessivo. Ogni opera scritta, musicata, dipinta o scolpita custodisce l’epoca cui è appartenuta, con tutto quello che rappresentava. E se il passato era libero di esprimersi attraverso un linguaggio (anche visivo) senza pregiudizi, vuol dire che si viveva in una società più libera da fraintendimenti e capace di comprendere il vero senso di tutte le cose, ricca anche di storie e di favole che non hanno traumatizzato nessuno, con la morale sempre pronta alle ultime righe. Con eroi da lieto fine, con ‘Cappuccetto rosso’, ‘I Tre Porcellini’ e ‘La Piccola fiammiferaia’ . Con la Befana, ‘vecchietta’ mezza matta che va in giro su una scopa nelle notti gelide ed un omone ‘panciuto’ e matto anche lui, che porta i doni su una slitta travolta dalla neve. Ecco, io amerò sempre l’immagine tenera, avvolgente, morbida e accogliente del mio Babbo Natale: con la barba bianca e così ‘ciccione’ che, quasi non passava dalla porta, un’immagine che a noi bambini metteva solo tanta allegria. Nessun pensiero annuvolava la nostra trasparenza come, credo, succeda anche ai bambini di questi tempi così complicati da preconcetti spesso ipocriti, frutto di una moralità esasperata da nuove categorie di ‘esperti’ che, forse, così esperti non sono e vedono il male dove non c’è o non c’è mai stato, con l’intento di indirizzare al rispetto ed alla tutela di quelle ‘categorie’ che diventano tali proprio perché messe sotto osservazione, evidenziate, poste all’attenzione, all’analisi sociologica e sociale, facendole passare, davvero, come ‘diverse’. Ma, la diversità è l’aspetto più naturale della vita, in ogni contesto. Siamo tutti diversi. E da quanti punti di vista. Siamo alti e bassi, bianchi e neri, gialli, mulatti, grassi e magri, colti e ignoranti, buoni e cattivi. Siamo sinonimi e contrari. E, proprio come in un dizionario, abbiamo tanti significati, accezioni ed eccezioni. Con l’unica regola da rispettare: accettarsi. Dare valore alle nostre differenze come particolari che ci rendono inimitabili, veri, autentici, anche se con qualche chilo di troppo, meno belli di altri, un po’ matti, nani, spilungoni, tonti o intelligenti, giovani e vecchi. Tutto qui. Ecco: se assimilassimo solo questo, saremmo già salvi da ogni preconcetto, da ogni ridicola censura e, soprattutto, da noi stessi.

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