Cultura salentina

Riti, feste e tradizioni pasquali nel Salento (Parte I)

di Lucio Causo

©Gianfranco Budano: Gallipoli, riti del venerdì santo

L’inizio del ciclo pasquale nei paesi del Basso Salento d’Italia veniva annunziato nella notte della Domenica delle Palme con il canto triste e ansioso del Lazzareno, portato da gruppi di tre cantori che andavano in giro portando un ramo d’olivo a scopo augurale. Era una specie di trasformazione delle laudi medioevali o di una sceneggiata popolare in cui il sacro e il profano si  mescolavano a tal punto che era difficile distinguere il significato religioso da quello sentimentale o addirittura venale. Del fastoso cerimoniale è rimasto il canto che ricordando la passione di Cristo si rivolge espressamente alla Patrunu (al padrone), che poteva essere l’amico o il padre della fidanzata, per avere uova e formaggi. Non era ancora spenta l’eco dell’ultima nota del Lazzareno che tutti si affrettavano a fare ritorno a casa, quando l’alba annunciava la festa che commemorava l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Per tutti l’appuntamento era sul sagrato della chiesa parrocchiale all’ora della seconda messa, quando una gran folla di uomini, giovani e ragazze con in mano ramoscelli di ulivo e le palme del dattero attendevano la benedizione del prete. Le donne e gli anziani erano in chiesa ad ascoltare la messa, mentre fuori si svolgeva un piccolo commercio di foglie di palma intrecciate con caramelle di zucchero da offrire alla persona amata o a qualche signore distinto. I rami benedetti  venivano poi appesi nelle proprie case. La tradizione voleva che il pomeriggio di quella domenica i contadini si recassero ai fondi più vicini per piantare la palma benedetta affinché l’annata fosse buona e il prodotto abbondante. Verso sera le donne ritornavano in chiesa per le funzioni religiose che cominciavano con la Via Crucis. Iniziava la Settimana Santa con tutte le sue devozioni.

Il Giovedì Santo commemorava l’adorazione dell’ostia consacrata nella veglia notturna. Per i nostri antenati era la giornata dell’Ultima Cena e la notte dei Sepolcri. Sin dalle prime ore del mattino verso la chiesa c’era un via vai continuo per portare i vasi del grano bianco argenteo. Chi poteva, portava anche piante ornamentali e fiori per rendere più festoso il Sepolcro disposto su di un altare laterale dove ardevano ceri a non finire. Sul presbiterio veniva preparato il tavolo per la Cena intorno al quale si sedevano dodici poveri che alla fine ricevevano un grosso pane da portare a casa. Era una scelta molto imbarazzante perché molti erano i poveri che volevano sedersi alla mensa benedetta. La lavanda dei piedi veniva effettuata dal parroco assistito dal suo vice e dagli altri sacerdoti residenti nel paese. C’era anche il predicatore che dal palco incentrava il suo sermone sulla passione di Gesù Cristo. La funzione terminava con la spoliazione degli altari ed il legamento delle campane, subito dopo cominciava l’adorazione dei fedeli. La veglia durava tutta la notte e il giorno successivo fino all’ora della messa. Quella notte bisognava visitare i sepolcri delle diverse chiese. Nelle cappelle e negli oratori erano esposte le statue della Madonna Addolorata e l‘Urnia con il Cristo morto, davanti alle quali trovava posto il cestello per le offerte. Il pellegrinaggio cominciava dalla Chiesa Madre e proseguiva per le altre chiese. La luce evanescente della luna favoriva il pellegrinaggio notturno e tra una preghiera e l’altra qualcuno ricordava il detto nu trase mai Cristu allu saburcu ci nu è quinta decima te Marzu o fatta o a fare (non entra mai Cristo nel sepolcro se non è il plenilunio di Marzo compiuto o da compiere). Anche i giovani compivano il solito itinerario a gruppi tra loro o in compagnia delle ragazze che specialmente in quelle circostanze e data l’ora notturna non erano mai lasciate sole dalla madre o dai nonni.

Anche in quei tempi la giornata in cui i cristiani commemoravano la morte del Redentore era il Venerdì Santo. Le campane di ogni chiesa dalla sera precedente non suonavano più e tutte le funzioni sacre venivano annunziate dal rumore gracchiante della trozzula (trottola) che alcuni ragazzi scuotevano per le vie principali del paese. Il rito religioso cominciava con la messa sciarrata (la messa sbagliata), una messa tutta particolare, senza capo né coda che terminava con la spoliazione dell’ultimo altare. Cominciava il lutto della chiesa ed un grande crocifisso veniva esposto alla venerazione dei fedeli nel posto dove c’era stato il sepolcro. Il riti del Venerdì Santo continuavano nel pomeriggio e terminavano nella serata con la processione dei Misteri. Al centro della funzione vi era la predica della Passione che rievocava la tragedia del Golgota. Alla solenne processione era obbligatoria la partecipazione dei fratelli delle Confraternite. Avanti a tutti procedevano torme di ragazzi scalzi portavano i massi della penitenza. In mezzo a loro un giovane agitava la trozzula e dietro di lui due musicanti con tromba e tamburo annunziavano il passaggio del sacro corteo. Dopo i confratelli dalla mozzetta rossa venivano quelli della Madonna Addolorata preceduti dai gonfaloni e dalla croce dei Misteri (una grande croce di ferro sulla quale erano appesi gli arnesi serviti per il processo e la crocefissione di Cristo). Intercalati ad essi, che procedevano a coppie con in mano il cero acceso, ve n’erano altri in camice bianco e cappuccio calato sul volto, avanzavano al centro della strada con una grossa croce di legno sulle spalle.  A metà del corteo altri confratelli portavano sulla spalla l’Urnia (Cristo morto nella bara). Seguivano altri penitenti e, dietro il sacerdote che indossava la stola violacea, la statua della Madonna Addolorata. Dietro veniva la banda musicale che accompagnava le vergineddhe (le verginelle), poi le autorità e il popolo con avanti le donne e dietro gli uomini rigorosamente separati. Finito il giro del paese la Madonna si fermava nella piazza davanti alla chiesa. Qui il Priore della Confraternita bandiva l’asta pubblica per il privilegio di portare a spalle la statua nel suo ingesso in chiesa, e quando si accorgeva che l’ultima offerta non veniva superata, invitava gli offerenti a caricarsi la statua sulle spalle ed entrare in chiesa. Nella giornata del Venerdì Santo in ogni casa aleggiava la mestizia ed erano molto rigorosi il digiuno e l’astinenza dalle carni.

continua…

7 Aprile 2022 – Lucio Causo

 

 

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