Cultura salentina

Chiesa del Crocifisso e Convento degli Alcantarini di Parabita

di Lucio Causo

Convento Alcantarini di Parabita

Le chiese e le “case” (conventi) degli Alcantarini, come quelle dei cappuccini, si assomigliano tutte, le une alle altre, essendo costruite in base a progetti edilizi statuiti e approvati dagli ordini religiosi. Gli Alcantarini di Lecce erano pronti a “sgarrare” fabbricati nuovi se questi non rispondevano agli schemi programmati per sostituirli con altre costruzioni nuove di fabbrica. Così fecero gli Alcantarini della chiesa di S Giacomo e delle altre consorelle di Lecce che s’indussero a demolire chiese non del tutto realizzate per costruire al loro posto le fabbriche dei conventi e delle chiese che la regola imponeva. Il più bel convento alcantarino di Puglia, secondo Michele Paone, è certamente quello della Vergine del Pozzo di Capurso, disegnato dall’architetto barese Giuseppe Sforza, e quel modello evoca il complesso edilizio che gli Alcantarini realizzarono “su un dolce declivio dell’ondulata campagna” di Parabita.

Tra le prime fondazioni alcantarine in Terra d’Otranto, il convento di Parabita ebbe una storia interessante raccontata dal Padre P. A. Coco nelle sue cronache religiose. Sin dal 1726, gli Alcantarini di Terra d’Otranto, su richiesta dei membri dell’Università di Parabita, dei tutori dell’imberbe duca Giuseppe Ferrari e del clero secolare, ottennero i suoli necessari per completare nel 1731 la costruzione della chiesa del Crocifisso e del convento di Parabita, nel quale Clemente XII accordò alla duchessa di Parabita di entrare, in compagnia di due dame, due volte all’anno, per Natale e Pasqua. Stabilita l’osservanza regolare, il convento degli Alcantarini, che i cappuccini di Casarano e di Gallipoli avevano avversato, timorosi che la nuova comunità potesse ridurre i proventi delle questue, prosperò nell’apostolato dei suoi religiosi, nella carità dei parabitani, che avevano promesso una sovvenzione annua di quaranta ducati, e in quella dei paesi vicini. Soppressi durante la sovranità di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat , gli Alcantarini ripresero, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, il convento dal quale furono poi allontanati definitivamente nel 1866. Da quell’anno, nel convento rimase un solo Alcantarino al quale venne affidata la cura della chiesa e la custodia del cimitero che si trovava nell’orto retrostante gli ambienti ormai vuoti e deserti dell’ampio convento. Di questo fabbricato sono rimasti gli alti muri nei quali le finestre delle cellette illuminano i loro piccoli vani, il chiostrino a pilastri, il loggiato della passeggiata dei cappuccini scalzi (“scalzitti” come li chiamava Ferdinando IV di Borbone) e la chiesa dedicata al Crocifisso, sorta da una piccola cappella preesistente, con le immagini di S. Pietro di Alcantara e S. Pasquale Baylon, al lato del portale, il cui culto fu portato in Terra d’Otranto dagli Alcantarini. Inoltre essi diffusero il culto per la Vergine di Capurso e anche qui, come nei conventi di Capurso, Lecce, Squinzano e Galatone, gli Alcantarini si dedicarono alla confezione di piccoli reliquiari e deliziose miniature dorate per devozione alla Vergine. All’interno della chiesa, con la volta a lunette, si possono ammirare l’antico organo, il pavimento maiolicato e l’altare maggiore, poi la statua dell’Ecce Homo, il dipinto delle stimmate di S. Francesco d’Assisi e un piccolo presepe di antica fattura in stile napoletano. L’Ottocento, lasciò nella chiesa alcantarina l’altare dedicato a Santa Filomena, che il Vescovo Salvatore Lettieri, nel 1837, consacrò e dotò di indulgenze per incrementare la pietà popolare e la devozione che il bigotto re Ferdinando II di Borbone e i suoi famigliari avevano riservato alla Santa, venerata a Mugnano del Cardinale dalle folle di meridionali memori della bigotteria del suddetto re borbonico. Ora di questo antico convento è rimasto solo il pittoresco fascino del’abbagliante mole fatta di candidi muri immersa nel silenzio del vicino cimitero monumentale evocando i ricordi della sua antica storia fatta di pietà cristiana e di spiritualità dell’arte.

Bibliografia essenziale: A. de Bernart, Vol. 1, Paesi e figure del vecchio Salento, Congedo Editore, 1980; M. Paone, Chiese di Lecce, Galatina, 1979; M. Paone, Lecce, città chiesa, Galatina, 1974; P. Antonio Primaldo Coco, I Francescani nel Salento (1517-1927), Vol. II, pp. 204-207, Taranto, 1928; Ferdinando IV di Borbone, Diario Segreto (1796-1799), U. Caldora, Napoli, 1965; G. Simoncini, Osservazioni sull’architettura del tardo 700 in Provincia di Bari, Facoltà di Architettura Università di Roma, 1956.

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