Ad Otranto ho consegnato i miei primi ricordi …d’acqua!
Lì l’ostro e lo scirocco ammansivano il mare saraceno ma ci rendevano particolarmente irrequieti.
A dire il vero del mare ci importava poco, non ne facevamo ancora parte. Piuttosto ci inebriava l’idea di poter crescere insieme per quattro mesi : immersi in un fluido speciale dove ogni molecola rappresentava un gioco d’acqua o di sabbia. Una sabbia magica in grado di trasformare le nostre semplici, stagionali amicizie, in puro affetto.
Il bianco pervadeva le nostre giornate, un bianco abbacinante che “ossigenava” i capelli , la sabbia, striava il cielo e rendeva candido il mare. Non ho più visto quel colore, riesco solo ad immaginarlo. Continua a leggere “I cento scalini del pianeta azzurro”
Ulivi ricurvi, intrecciati in un abbraccio spasmodico di vita, avvinghiati alla terra con le loro radici eppure anelanti al cielo, fermi immobili nel perenne scorrere delle cose eppure in continua mutazione, sempre uguali a se stessi pure rinnovandosi e trasformandosi nell’alternarsi delle stagioni. Questo almeno erano gli ulivi, i patriarchi verdi della nostra Puglia, ideali sentinelle del tempo che passa, prima che un flagello dalle proporzioni bibliche intervenisse a falcidiarli, portandoli ad un lento ed inesorabile declino. Continua a leggere “La “passione” degli ulivi”
L’arte medievale espone una visione cupa, in ombra, torva della natura. Uno dei motivi, con molta probabilità, è da riferire al fatto che proprio la natura fu lo strumento che funzionò come vettore comunicativo facilmente confrontabile, verificabile, riconoscibile, capace di indicare per similitudine quelle connotazioni morali ben codificate; la condizione caduca dell’uomo, l’esistenza vissuta senza cognizione e impegno in un contesto di altalenante moralità, l’esitazione di seguire la retta via nell’incostante ricerca della verità o nel non riuscire ad individuare il limite tra bene e male.
Teniamo comunque presente, per l’appunto, che la maggior parte delle immagini avevano finalità educative.
Chi non ne può più di papparrose (papaveri) venga a smaltire la “papagna*”. Sul mio percorso abituale c’è un campo che in pochi si fermano a osservare. Sul terreno non c’è traccia di papavero e di altro fiore. Non saprei dire com’è accaduto, se la magia (o il sortilegio) fosse solo effetto di un trattamento chimico sarebbe una gran delusione. C’è solo un folto ed esteso cuscino, quasi strisciante, di graminacee e, fra queste, delle piantine color vinaccia, come sottili coralli, che fanno rosseggiare il basso prato. Più su, molto più in su, spinti verso l’alto da lunghi steli sottili e rigidi, c’è uno strato bianco di infiorescenze di daucus, come astronavi floreali sospese a mezz’aria (dire carota, nel bel mezzo di una scrittura che vuol essere “ispirata” non suonerebbe bene). Continua a leggere “Daucus carota (carota selvatica)”
Il mio albero di agrifoglio è fiorito e sono arrivate le api. Nella tarda mattinata un ronzio assordante mi ha richiamato dalla finestra aperta. Centinaia di piccoli insetti succhiavano avide il nettare dai minuscoli fiori bianchi. Sotto il tronco dell’agrifoglio i narcisi già da qualche giorno hanno aperto le loro corolle gialle. Fino al tardo pomeriggio non uscirò nel piccolo cortile. Alcune api si sono fermate sull’antico lavatoio in pietra che è diventata una vasca per le ninfee e i giacinti d’acqua mentre i pesci formano con i loro guizzi piccoli cerchi. L’arancio gli fa ombra. Non voglio disturbare la Natura. Continua a leggere “Sono tornate le api”
Con il primo leggero aumento delle temperature sotto il balconcino nel cortile e dietro i rami contorti del gelsomino sono sbucati i primi gechi. Ho imparato da un po’ di anni a conviverci per gran parte dell’estate fino all’autunno. Continua a leggere “Il geco”
Forse era sincero il Presidente della Repubblica Saragat quando negli anni ’60 inaugurò l’Italsider, il grande polo siderurgico che doveva essere il fiore all’occhiello dell’Italia del boom economico, capace di creare lavoro e ricchezza in una città che in quegli anni era attraversata da una profonda crisi di identità e lavorativa per il declino dei suoi cantieri navali, per la fine delle commissioni belliche e per il fallimento della riforma agraria in termini occupazionali. Al discorso di inaugurazione il Presidente sottolineò che lo Stato si era finalmente adoperato per mutare la realtà del Mezzogiorno. Continua a leggere “Sogno d’acciaio”
Ci passavo da anni e là, su un rilievo appena accennato, su via Roggerone, a pochi passi dalla rotonda per Torre Chianca, una bellissima pagghiara ha la particolarità di avere in testa un ciuffo verde che nella bella stagione diventa particolarmente folto. Un fico è cresciuto sulla sua sommità e ora contribuisce a connotare il paesaggio circostante in maniera curiosa. Continua a leggere “La pagghiara col ciuffo”
Tra gli anni ’70 e ’80 l’imboccatura della grotta di Scerza a Sava è stata ostruita, non si sa bene da chi e per quale motivo, e pertanto non è più accessibile. Il sito dovrebbe essere recuperabile in quanto l’ostruzione interessa, a quanto sembra, soltanto la scalinata d’accesso, e un suo ripristino potrebbe raccontare molto della storia dei luoghi, dal momento che sino al periodo della sua chiusura non è stata oggetto d’indagine neanche da parte dei cultori della storia e dell’archeologia locale. Continua a leggere “Lu lupu alli pecuri: la leggenda della Campana d’ Oro di Scerza”
“Mandragora autumnalis1436” di tato grasso – Opera propria (personal work). Con licenza CC BY-SA 2.5 tramite Wikimedia Commons.
Varie fonti e testimonianze documentano nel tarantino la conoscenza e l’utilizzo specifico di Hyosciamus albus e di Mandragora autumnalis, mentre in una serie di documenti relativi a processi inquisitoriali delle locali Diocesi, ci si riferisce genericamente ad “unguenti” sicuramente ottenuti con l’impiego di solanacee di vario tipo. Nel territorio è molto diffusa (sia nell’entroterra che in zona costiera) la Datura inoxia, mentre sinora, nel corso delle mie escursioni, ho potuto trovare una sola (ma imponente) stazione di Datura stramonium. Continua a leggere “Piante spontanee ad uso magico, rituale, medicinale e inebriante in provincia di Taranto e nel Salento (3/8)”
La pianta del Papaver somniferum, conosciuta nella nostra tradizione popolare come “papagna” (o “papanja”), della quale ci è pervenuto un utilizzo di tipo medicamentoso nella cultura popolare contadina (calmante e analgesico per adulti e bambini a dosaggi variabili), è pianta collegata a Demetra e Kore, ad Ade, a Morfeo, divinità presenti negli antichi culti locali come risulta da ampia documentazione archeologica. Secondo alcune interpretazioni, è il frutto che porta nell’ade Demetra alla ricerca della perduta figlia Kore. Continua a leggere “Piante spontanee ad uso magico, rituale, medicinale e inebriante in provincia di Taranto e nel Salento (2/8)”