Cultura salentina

Il Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce (Parte I)

di De Florio Pietro

Fig. 1 – Veduta generale e ripartizione in rettangoli della facciata

Introduzione

Spesso nel Salento ex fortezze o castelli, agli inizi del sec. XVII subirono  radicali rifacimenti, trasformandosi in  palazzi nobiliari residenziali [Cazzato 2001, p.56; Carducci 2006, pp. 161-162 ]. Stessa sorte toccò al palazzo ducale Di San Cesario di Lecce. Fu la famiglia Guarini che nel 1626 realizzò i lavori di riedificazione, poi lo stabile passò alle famiglie Bocci e Vaax D’Andrade e, infine, nel 1703 ne acquisirono il possesso la schiatta ducale dei Marulli [Arditi 1879 -1885, p.526], nel 1703.

 

Visibilismo generale

Si dice che il fabbricato segua alcune prescrizioni rinascimentali palladiane, pertanto l’ altezza dovrebbe essere la somma della lunghezza (A) più la larghezza (B) e il risultato diviso 2, cioè (A+B)/2 [Palladio 1570, p. 434 nota 2], altri indizi palladiani potrebbero essere la pianta quadrangolare, la scansione armonica della facciata (alta 25 metri) e la loggia terminale più stretta [ivi]. Gradevole risulta la tripartizione del prospetto: un rettangolo o settore centrale e due rettangoli più stretti laterali, tutti di uguale altezza, delimitati verticalmente da quattro lesene e, in senso orizzontale, da due fasce di cui una marcapiano e un’altra che scorre sopra gli archetti pensili in alto (fig. 1 ).

Sebbene, come accennato, l’edificio evidenzi reminescenze rinascimentali [De Giorgi 1882 – 1888, II,II, p.170], la facciata, tuttavia,  andrebbe letta in termini barocchi [Wölfflin 1929, pp. 106-107, 235, 242], perchè i singoli elementi, cioè nicchie, statue, portale, balconi, finestre e articolazioni delle membrature, non sono disposti isolatamente, ma vincolati in un gioco sfalsato e dinamico. Cioè, al piano superore nel settore centrale ai lati del balcone, tra le due nicchie ospitanti statue di diverse dimensioni, si inserisce una finestra, invece nelle contigue aree laterali si ha una semplice disposizione allineata di finestre accoppiate, con balcone in comune, il tutto coordinato dal nucleo focale del portale e sovrastante ballatoio. Nel senso verticale la progressione è data dal portone d’ingresso, colonnato binato, finestra – porta, stemma e loggia terminale.

In altre parole si perde l’assolo formale tattile di ciò che è ravvicinato e analitico tipico rinascimentale, quasi per esser toccato singolarmente, a favore, invece, del movimento ottico complessivo di luce e masse in movimento in una visione (in virtù della grande piazza) distanziata, sintetica e pittorica (fig. 1 ).

 

La Facciata e il piano terra

È costruita in pietra leccese, con conci a vista squadrati che, nell’insieme della mole,  suggestivamente producono varie tonalità di colore: dal grigio dorato, al grigio azzurro delle ombre mattutine o del bronzo dorato in certi pomeriggi di sole [Laudisa 1969, I, pp. 10 – 11] (fig. 1).

Le quattro lisce lesene verticali che intelaiano la veduta frontale sono larghe circa cinquantina di centimetri, sporgono lievemente dalla parete e terminano in alto, sotto le mensole del cornicione, con una maschera – doccione, tipo guardiano del palazzo (fig. 2), cioè si passa dal piano geometrico astratto della lesena ad una rappresentazione figurata conclusiva. In susseguente piano attico superiore è alto circa tre metri ed è il prolungamento (più arretrato) della parte mediana della facciata, sulla porta centrale si nota una conchiglia simbolo di fertilità (o del battesimo), in assonanza con le statue della Venere – Afrodite più in basso.

Fig. 2 – Doccione terminale e statua di uomo illustre

La facciata in basso si articola con un movimento alternato di finestre: quelle centrali ai lati del portale sono più grandi, di misura ridotta le altre quattro ai bordi del prospetto (di cui due murate), tutte delimitate da semplici cornici con orecchiette agli spigoli [Laudisa 1969, I, pp. 16 -17].

Sul lato destro si trova la cappella intitolata a San Giuseppe artigiano, la sua statua è presente nella nicchia posta nel timpano spezzato della porta, analoga e simmetrica ripartizione spaziale viene riproposta sul lato opposto della facciata  (fig. 1).

 

Il Primo Piano

Al piano superiore cambia il linguaggio, prevalgono gli effetti plastico – luministici che alleggeriscono ed esaltano le superfici, grazie anche a una più marcata alternanza di pieni e di vuoti, tra balconi, nicchie e statue ritmicamente disposte (fig. 1), insomma una citazione di motivi sperimentati nel barocco leccese, specialmente in Santa Croce a Lecce.

Fig. 3 – Bordo pavimento balcone centrale e balcone lato sinistro

In dettaglio, sebbene poco visibili, lungo il bordo del pavimento del balcone centrale, sopra la fascia dei triglifi si snoda una sequela di rosette (ormai invisibili) e, nella membratura a gola dritta sottostante, si vede un’altra sfilza di teste leonine (fig. 3). Entrambi segni notevoli dal punto di vista iconografico, in quanto la rosetta stilizzata rappresenterebbe la riservatezza, mentre le teste leonine la virtù guerriera e la potenza (considerando le origini di ex fortezza del palazzo), come dire la forza tenuta a freno diviene virtù.

Ai lati del balcone centrale sono disposte con proporzioni decrescenti e sfalsate due statue entro nicchie, intramezzate da una finestra con parapetto balaustrato a filo muro. A questa partitura ritmica, si alterna lo sviluppo lineare delle due coppie di porte – finestre balconate ai bordi della facciata (fig. 1).

Du solito i balconi nel Barocco leccese corrono lungo l’intera facciata del palazzo o della corte ma, a volte, come a San Cesario, si divide in più segmenti, ritmicamente disposti, anzi svoltando per via Russo, un altro balcone si ripropone quasi ad angolo.

Fig. 4 – Balcone facciata laterale, telamone – mensola – arpia

Notevoli sono le mensole a modiglione (con inserti a rosette) dei balconi collocati all’estremità della facciata, sembrano nascere dai mascheroni parietali (fig. 3), cioè volti fogliati digrignanti, con o senza baffi. La funzione ideale (insieme a quella propiziatoria dei pomi) di questi volti aderenti al muro è quella di proteggere il palazzo, incutere soggezione e spingere la fantasia dell’osservatore ad emendarsi dai cattivi propositi. Sostengono il balcone della facciata laterale (via Russo), sei mensole, la prima a sinistra è una specie cariatide/mensola sovrastante 2 figure perlopiù antropomorfe, si tratta di una sfinge – maschera – arpia, ha il corpo di leone, testa umana, ali e artigli. In generale la maschera possiede una funzione protettiva per gli abitanti del fabbricato, in questo caso esprime vigilanza e potenza, simbolo arcano di sapienza e antidoto contro l’avarizia dell’arpia [Hall 1983, p. 66] (fig.4). La forza preservatrice della seconda maschera o figura (sotto l’arpia), presenta tratti umani e pare che sbocci da una generica vegetazione e foglie d’acanto (maschera fogliata) e, a filo muro, si vede una specie di demone antropomorfo, serpentiforme e cornuto (terza maschera) (fig. 5).

Fig. 5 – Balcone facciata laterale maschere – guardiano

Al lato opposto dello stesso balcone a destra (saltando le 4 mensole intermedie), due maschere – guardiano, una baffuta con orecchie appuntite e un’altra più piccola in basso, sono inserite tra vegetali d’acanto, va detto che gli aculei di questa pianta (sebbene nel barocco le punte siano arrotondate) indicano il superamento delle difficoltà (richiamo alla verginità della terra incolta), mentre la bocca socchiusa, in entrambe le figure, può rappresentare la porta degli inferi o quella del paradiso, infatti l’orecchio appuntito (quello superstite), dovrebbe essere associato al dio Pan o ai satiri (forze vitali), oppure al diavolo [Marcucci 2009, pp. 92, 94 -95] (fig.5).

 

 

Le Sculture  

Ma chi rappresentano le grandi statue in facciata? (Fig.1). La prima a destra raffigura Ercole, con la clava avvolta nella pelle di leone, incarna la forza fisica, il coraggio e la capacità di fronteggiare le avversità, trionfando sul male. Un eroe terrestre, ma anche divino per volere di Zeus, capace di scendere nell’oltretomba, insomma l’equivalente cristiano del Cristo. Se in altre opere l’eroe viene rappresentato con la testa piccola (accorgimento manierista), per evidenziare la possanza del fisico, a San Cesario la rappresentazione si inverte, la testa risulta un fuori scala, affinchè l’intera figura possa esser vista da lontano e dal basso. Vicino ad Ercole, di dimensioni più ridotte si trova la statua di Venere/Afrodite, la dea dell’amore e della fecondità e, in questo caso, poiché nuda, incarna l’amor sacro celeste, allegoria di candore e integrità. La dea regge un vaso dove arde il sacro fuoco dell’amore iperuranico, secondo quanto affermavano gli umanisti rinascimentali platonici [Platone Simposio 180c – 180d], se fosse stata vestita e adorna di gioielli, avrebbe impersonato la Venere mondana (fig. 6).

Fig. 6 – Ercole e Venere – Afrodite

Un Nettuno/Poseidone [Cazzato 2001, p.47], con la tipica capigliatura folta e ricciuta occupa la nicchia alla sinistra del portale, quindi da un lato si ha un eroe – dio terrestre, dall’altro il dio dei mari. La statua successiva riproduce Minerva/Atena, la dea della civiltà e della sapienza, qui indossa un elmo o copricapo guerresco con cimiero a foglie (combatte per le giuste cause e difende le istituzioni), al suo fianco in basso lo scudo – egida con la testa di Medusa. La vicinanza con Nettuno forse non è casuale, considerando la contesa mitica tra i due per il dominio sull’Attica [Ovidio, Metamofosi, VI, pp. 70-85, vedere nota relativa] (fig. 7), pertanto l’allegoria complessiva dovrebbe essere: da una parte la forza fisica e morale (Ercole) che trascende se stessa per aspirare ovunque tra terra, cielo e mare (Nettuno/Poseidone), pertanto ciò che è forza o energia vitale, se sublimata conduce al bello ideale, al bene etico (Venere/Afrodite) e alla sapienza civilizzatrice (Minerva/Atena), infatti nell’iconografia tradizionale accanto ad Ercole compare, a volte, Minerva.

Stilisticamente le sculture femminili mostrano una certa dilatazione formale, la luce non indaga i particolari, ma sembra avvolgere come un velo i corpi nudi, solo per Minerva un lembo di himation copre a malapena il pube, ma entrambe le figure femminili corpulente e rigogliose, si riscattano dalle incongruenze formali, grazie a qualche gesto esortatore, oppure al balenare di un’espressione persa e malinconica del volto. Basta poco per instaurare un rapporto di affezione con queste corporature familiari e un po’ campagnole che  emanano una certa sensualità, specialmente nel flessuoso tornito dei fianchi e basso ventre a cui fanno da complemento formale i seni a tratti ancora adolescenziali. Traspare un senso di abbondanza vitalistica, peraltro tipica del barocco dionisiaco leccese, sono sculture carnose e un po’panciute che si potrebbero idealmente collegare con le preistoriche veneri di Parabita. Ma qui a San Cesario, si aggiunge un altro elemento: un certo eros dissimulato nell’ambivalenza tutta barocca tra il sottile e l’esplicito [Foucault 1976, pp. 12 -13, 21-23]. Per le figure maschili (nonostante qualche squilibrio configurativo), si nota una discreta cura dei particolari anatomici del busto e delle gambe, funzionali per suggerire una certa plasticità di movimento.

Fig. 7 – Nettuno – Poseidone e Minerva – Atena

Sul piano superiore della facciata, sopra le finestre, si vedono allineate 6 nicchie contenenti altrettante sculture di personaggi a mezzobusto, altre 2 sono allineate al piano di terra e ancora 6 stanno al lato della facciata in via Russo (fig. 2). Un totale di 14 statue, ma se si escludono le 2 in basso in via Russo, queste diventano 12, chissà, forse sono gli avi della famiglia proprietaria, oppure importanti feudatari della zona (trasfigurati in condottieri), tuttavia è più verosimile che i personaggi possano essere i Dodici Cesari [Cazzato 2001, p.47], ossia una citazione del De Vita Cesarum, di Svetonio e, forse anche, in concordanza con il del toponimo cittadino derivato da un possibile antico acquartieramento delle milizie romane, ma successivamente, in epoca cristiana, l’insediamento si chiamerà San Cesario, dal nome di un martire cristiano [Arditi 1879 -1885, p.526; cfr. Marciano, 1885].

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