Ambiente, Architettura, Arte, Cultura salentina, Storia, Territorio

NOTE A MARGINE – La migliore comunicazione “con_tiene” gli opposti

 

 

di Paolo Marzano

L’arte medievale espone una visione cupa, in ombra, torva della natura. Uno dei motivi, con molta probabilità, è da riferire al fatto che proprio la natura fu lo strumento che funzionò come vettore comunicativo facilmente confrontabile, verificabile, riconoscibile, capace di indicare per similitudine quelle connotazioni morali ben codificate; la condizione caduca dell’uomo, l’esistenza vissuta senza cognizione e impegno in un contesto di altalenante moralità, l’esitazione di seguire la retta via nell’incostante ricerca della verità o nel non riuscire ad individuare il limite tra bene e male.

Teniamo comunque presente, per l’appunto, che la maggior parte delle immagini avevano finalità educative.

D’altronde era la natura stessa che metteva a disposizione quella sana “armonizzazione degli opposti”, inverno-estate, sbocciare-deperire, carestia-abbondanza, notte-giorno, nascere-morire, colorare-scurire, a cui si adeguarono gli insegnamenti teologico-filosofici del tempo. Consideriamo il fatto, non certo marginale, del giudizio “benigno” o “terrificante” che poteva premeditatamente essere consegnato, come “rivestimento” simbolico, al vettore/divinità della Natura. Uno dei validi sistemi per affrontare gli eventi inattesi che disordinavano o sconvolgevano la vita degli uomini, fu quello (come sempre è stato) di dare un “volto” al nemico che minacciava continuamente l’esistenza; individuarlo nella complessita del bosco (accadimenti quotidiani) era già un enorme passo avanti. Il risultato pertanto adottò l’uso più semplice delle forme e dei segni, quello delle espressioni del viso; praticamente si scelse la semplice, empatica, confidenziale fisiognomica applicata ad alberi, foglie, nuvole, rocce. Il “male” così (illusoriamente riconosciuto) poteva avere un limite, essere fermato. Si suppose che, “vederlo”, significava poterlo forse combattere, isolare e abbandonare.

Sarebbe a questo punto interminabile l’elenco da ripercorrere per descrivere tra tanti, ad esempio, la figura dell’ “uomo verde”, a cui viene consegnato l’attributo del potere del “perturbante”, quella prerogativa inattesa, fondamentalmente “rigenerativa” dunque “mutante”, del “caso” o dell’imponderabile “volere divino” (come lo si voglia chiamare). Allo stesso tempo tale figura poteva trasformarsi da paziente, taciturno osservatore, in acuto suggeritore, tanto invisibile quanto inquietante; capace anche di esorcizzare luoghi e anime, come di avvilupparle facendole partecipi di mondi altri e quindi condannarle ad un eterno incostante “passaggio” nell’altrove senza regole. Una creatura fitomorfa, ben mimetizzata, di cui, fra tanti, un esempio eclatante sono gli oltre cento piccoli volti “verdi” nella Rosslyn Chapel il cui nome appare per la prima volta il Green Man (articolo del 1939, “The Green Man in Church Architecture”, pubblicato da Lady Raglan in “The Folklore Journal”). Una “presenza” antica, un interprete del tempo, ascrivibile all’era pre-cristiana che ebbe un successo straordinario perché facilmente risimbolizzante ad “uso e consumo” delle diverse indicazioni segli stati d’animo; educative e figurativamente molto convincenti.

Nel Palazzo Ducale di Venezia, nel cortile al piano inferiore, ne troviamo un esempio con uno sviluppo approssimativamente “tricefalo” o a “sequenza intermedia”, dove il volto centrale si completa lateralmente nelle due diverse possibilità di trasformazione-alterazione laterali. Sono rappresentate così le espressioni cangianti corrispondenti agli stati d’animo. A volte succede che la funzione “apotropaica” perda forza, a favore di quella prettamente moralizzante (vedere a questo proposito l’ampio ed interessante studio di Marosa Marcucci, alla quale aggiungerei la “serie di profili contrapposti” che qui ho raccolto in un collage, proprio per quel particolare fisiognomico cambiamento “umorale”, tra i quali mi permetto di indicare, anche i due meravigliosi grandi volti di maschera fogliacea o di “Green Man”, ad Arnesano. Volti appartenenti alla stessa famiglia, ma con stati d’animo differenti, collocati ai lati estremi nell’altare che scorsi, proprio nel dettaglio dell’attacco col muro. Si indicano con questa posizione, quei profili esterni/estremi dell’intervallo di cui la grande macchina barocca centrale è l’elemento morale necessario, ponderato, riflessivo, mediatore). Ma quante facce/espressioni di questo genere esistono? Qui ne propongo un’interessante serie. Esse sono simili e contrapposte (confrontate), hanno la stessa funzione moralizzatrice e si completano (pongono dunque in equilibrio), nobilitando la sequenza, trasformando dunque lo strumento della comunicazione in una vera opere d’arte.

https://culturasalentina.wordpress.com/2012/12/07/una-facciata-antiquaria-a-monito-di-una-chiesa-da-riconsolidare-prima-parte/

https://culturasalentina.wordpress.com/2015/05/12/il-vuoto-e-leccedente-seconda-parte/

Le maschere a livello simbolico rappresentano l’immortalità dell’anima, derivando il loro carattere escatologico dai misteri dionisiaci legati al “primo mondo” che insegna l’esistenza, quello del teatro. La selva dunque si anima e costituisce una dimensione a sé, a misura del sé perturbante. E’ la natura stessa che sostiene e alimenta le sue possibili interpretazioni; maschere dai lineamenti sereni o irrequieti che segnano il volto come l’anima. “Raffigurare” (rappresentare) è già porre rimedio e forse tentare di controllare. Sarà per una colta “coincidentia oppositorum”, ma a volte si scorgono soluzioni di questo tipo nei posti meno attesi. Penso che non ci sia potere più grande di chi, nella sua opera, inserisca il buon auspicio, di comprendere e controllare, pur se illusoriamente, gli opposti (eventi).

La divisione per simmetria educa confrontando e, al contempo, “ragiona”, dunque moralizza. E’ errato parlare di semplice decorazione, più probabile identificare nell’allegoria lo strumento che rende facile la lettura dell’opera, almeno per l’uomo del XIV, XV e XVI sec. L’architettura soccorreva alla bisogna. I capitelli scolpiti adempiono la loro perfetta funzione di pensieri appena sopra le teste, come suggerimenti e insegnamenti vicini di un racconto semplice, di prossimità, i cui interpreti vengono fuori dal “bosco” primigenio; e allora donne, uomini, bambini, animali, piante, segni zodiacali, miti, simboli, vizi, virtù, allegorie e indicazioni morali, in un percorso che univa, secondo un procedimento tipicamente medievale, sacro e profano, storia e leggenda, astronomia e astrologia. Dai “Vizi e Virtù” alla rappresentazione all’antico “Arbor bona Ecclesia”, il meccanismo doveva evidenziare quali fossero i limiti e quali le aperture per poter iniziare individualmente il proprio cammino.

Ritengo che, in un’opera d’arte, già saper distinguere un probabile asse di simmetria, intorno alquale sono distribuite figure, gesti, oggetti, cose, sia fondamentale. Esso rappresenta la soglia della volontà di incedere e quindi di innescare il funzionamento del dispositivo figurativo. Degli esempi? L’asse esiste nell’ordine delle croci del Calvario, nei portali o negli affreschi dei diversi Giudizio Universale, nelle “Allegorie del buono e cattivo governo” di Ambrogio Lorenzetti, ma anche nella “Primavera” o nella “Calunnia” del Botticelli, oppure nell’ “Amor sacro e Amor profano” di Tiziano o ancora di “Ercole al bivio” di Carracci. Ciò che conta è la rappresentazione degli opposti che conferma la concreta operatività didattica della responsabilità messa in gioco, rispetto allo scopo che si voglia raggiungere.

Una “decisione” è la conseguenza audace dell’azione fondamentale nella vita dell’individuo; l’adozione del “consapevole” libero arbitrio. Ecco come, cambiando paradigma, il collage di immagini qui presentato, risultato di un’indagine, acquista senso, ha “ragione”. E’ il fascino dell’uso del volto/maschera/anima, tra cui conosciamo l’interprete per eccellenza, il Green Man o “volto fogliaceo” che tanto ho seguito nel periodo degli studi sull’ipotesi di lettura della facciata del San Domenico di Nardò.

https://www.youtube.com/watch?v=g4RfJVbXdhQ

La serie di foto nel collage naturalmente sarà sicuramente utile (qualcuna inedita), pronta per l’aggiornamento dei prossimi studi sull’argomento. Quindi da oggi, aguzzate lo sguardo, in quanto, il più potente (o il più saggio) com_prende sempre, e costantemente medita, sugli opposti (suoi)!

Didascalia:

Foto per collage di Paolo Marzano ed Élise Delle Rose. In ordine di lettura: i “Molossi” del portale di ingresso di Palazzo Maresgallo, Lecce; bellissimi volti fogliacei laterali angolari, del tipo acroteriale figurato, nell’altare dell’Assunta attribuito allo Zimbalo, nella chiesa Madre di Arnesano; volti/foglioline nella parte inferiore all’altezza dell’altare, nella decorazione a girali dei dadi delle colonne, nell’altare attribuito allo Zimbalo, nella chiesa Madre di Arnesano; volti simili e opposti sulla balaustra di Palazzo Belli a Lecce; lo “sberleffo”. (L’espressione dello “sberleffo” o dello “spavento”, assume il “perturbante morale”, di certo con scopo apotropaico o del buon auspicio, utile a farsi gioco degli eventi o meglio comprenderli, sostanzialmente “edificante” in quanto utile a completare la sequenza comunicativa con la presenza del suo diretto opposto. Tale rappresentazione è assimilabile ritengo anche ai bassorilievi del tipo a “clipeo” sui due lati del Sedile di Nardò, con elmo chiuso su via Duomo e con l’elmo aperto su Piazza Salandra)

Lascia un commento