Archeologia, Storia

Pietre antiche: dolmen e menhir del Salento

Dolmen e menhir della Puglia
Dolmen e menhir della Puglia

Testimoni silenziosi delle prime espressioni del sentimento umano, di un passato che ancora non conosceva la civiltà messapica, i dolmen (dal bretone “tol”, piatto, largo e “men”, pietra) e menhir (dal bretone “men”, pietra e “hir”, lungo) sono costruzioni megalitiche, disseminate lungo la penisola salentina, la cui origine e funzione restano avvolte da un’aura di mistero.

L’opinione più diffusa tra gli studiosi è che i menhir (massi monolitici verticali di altezza variabile ma comunque non superiore ai 5 metri), chiamati anche “pietrefitte”, avessero uno scopo religioso, funerario, di orientamento o fossero legati a riti della fertilità, mentre per i dolmen (costruzioni con laterali di sostegno ed un lastrone a sormontarle) l’opinione più accreditata è che siano delle tombe, a volte usate come are sacrificali (per la presenza di scanalature sulla lastra principale).
Proprio la loro remota collocazione storica ha fatto sì che le teorie che si prefiggevano di spiegarne la presenza in terra salentina fossero quanto mai incerte, se non in alcuni casi altamente improbabili (come chi li vorrebbe testimonianze di popolazioni risalenti alla mitica Atlantide).

Aree con presenza di megaliti in Europa
Aree con presenza di megaliti in Europa

L’ipotesi finora più avvalorata vede la loro origine come il risultato di migrazioni di popolazioni asiatiche, molto probabilmente celtiche, che durante il loro passaggio hanno lasciato traccia di sé nel Mediterraneo, in un’area che comprende le isole spagnole, la Sardegna, la Corsica, la Puglia e l’isola di Malta.

Giurdignano, Dolmen Stabile, foto B. Baldassarre
Giurdignano, Dolmen Stabile, foto B. Baldassarre

Se però si tiene conto del fatto che la presenza di dolmen e menhir è attestata soprattutto in buona parte dell’Europa del nord, includendo quella che è forse l’espressione massima dell’architettura megalitica (Stonehenge in Inghilterra), i conti sembrerebbero non tornare. I nostri piccoli dolmen e menhir alla pari di Stonehenge?

Da secoli abituati ad essere considerati “l’ultima ruota del carro”, “avamposto dell’Africa”, qualche dubbio è lecito porselo.

Ma se si pensa che nel lontano 1893 lo studioso Cosimo De Giorgi riferisce, parlando di Giurdignano, che

“i vecchi contadini del luogo (…) mi assicurano che parecchi altri (dolmen, n.d.r.) esistessero in quella contrada nella metà del secolo scorso, e che furono atterrati quando cominciò a farsi il dissodamento di quei terreni sino ad allora macchiosi e abbandonati al pascolo degli armenti”

e che nella zona del Dolmen Stabile, l’unico dolmen ottimamente conservato a Giurdignano, sono presenti degli ammassi di lastroni in pietra, alcuni dei quali recano incisioni, l’ipotesi di una piccola “Stonehenge” salentina ormai perduta per sempre diventa molto più reale.

E forse vale la pena a questo punto godersi il suggestivo percorso fotografico tra le “pietre” della preistoria disseminate in tutta Europa proposto dal sito http://www.stonepages.com. E immagine dopo immagine, tra similitudini e differenze, concedere spazio all’ipotesi che sicuramente, in qualche modo, c’eravamo anche noi a fare la storia. Quando ancora di storia non si poteva parlare.

9 pensieri su “Pietre antiche: dolmen e menhir del Salento”

  1. Il Salento, con la Bretagna e la Scozia, ha una delle maggiori concentrazioni europee di siti megalitici. Queste altre regioni hanno fondato un fiorente turismo su questa arcaica presenza. Noi no. Nessun progetto di valorizzazione e fruibilità. Solo da pochissimi anni se ne parla in ambiti di appassionati. Ma la Provincia non ha mai prodotto un progetto, una mappa, un percorso, nemmeno una segnaletica per valutarli e presentarli.
    “tanne pane a ci no ttene tienti”.
    Intanto ci riampiamo la bocca di “destagionalizzazione”.
    E molti di queste strutture cadono in rovina o sono preda di vandali ( e di amministrazioni).

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  2. Leggo solo ora questo bellissimo contributo sui megaliti salentini. Nulla da aggiungere, se non qualche piccola suggestione personale.

    VITA COL MEGALITE – 1

    La prima cosa che viene spontaneo chiedersi quando ci si imbatte in un menhir (una volta separata l’empasse del “che cos’è?” e dell’ “a che cosa serviva?”), la prima ovvia domanda che sale dal retrocranio è “PERCHE’ PROPRIO QUI?”. Oggi, i menhir si trovano nei paesi, nelle campagne, alla confluenza di sentieri, e in qualche modo caratterizzano lo scenario nel quale sono inseriti. Ma com’era il paesaggio salentino 5000 anni fa? Con quale criterio furono individuati i luoghi di erezione dei megaliti?
    Molti anni fa, provai con alcuni amici a darmi una fantasiosa risposta: i menhir servivano a segnalare correnti di energia sotterranea, anzi meglio: venivano piantati nei punti di confluenza di tali correnti. Servivano quindi da accumulatori di energia in grado di mettere in comunicazione la dimensione sotterranea con il mondo di sopra (traendo energia anche da quest’ultimo: la luce solare, i fulmini ecc.). Da qui, la convinzione che toccare un menhir servisse a caricarsi di energia positiva. Senonché, il giorno dopo aver toccato un menhir (si era nel 1991), rimasi coinvolto con la mia ragazza ed i miei genitori in uno spaventoso incidente stradale (non avevo nessuna colpa, ma guidavo io). In me si fece quindi strada l’idea che, per dirla in termini scientifici, toccare un menhir portasse sfiga…

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  3. VITA COL MEGALITE – 2
    Esaurita la fase “tattile”, non è che la fascinazione per i menhir sia diminuita, anzi. Uno dei miei menhir preferiti (quello poco fuori Parabita, posto al centro di un crocevia di campagna) mi tornò alla mente due anni dopo; volendo iniziare in maniera rituale il mio percorso iniziatico nelle terre del blues (!), mi recai colà a mezzanotte ed ivi giunto iniziai a suonare l’armonica.
    Non so bene cosa mi aspettassi: avevo in mente Robert Johnson, che secondo la leggenda aveva venduto l’anima al diavolo ad un crocicchio, in cambio di una mostruosa abilità con la chitarra. Io non volevo vendermi l’anima: mi ero già venduta la chitarra (era un momento difficile…) ed era come se l’anima me l’avessero già strappata via. E comunque.
    Seduto sul cofano della macchina inizio a suonare l’armonica nella più completa oscurità e a mezzanotte e qualche minuto mi compare dal nulla un cane nero che fa un giro intorno al menhir e poi viene ad annusarmi. Era grosso, ma piuttosto denutrito. Johnson aveva dato la chitarra all’uomo col mantello nero comparso dal nulla; lui aveva suonato una canzone con quella chitarra, poi gliel’aveva restituita. Ma io come facevo a far suonare l’armonica al cane?! Meno male che avevo una scatoletta nel portabagagli, il cane dimostrò di gradirla più del mio modo di suonare il blues.

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  4. VITA COL MEGALITE – 3 (fine)
    Passeggiando per le campagne, se ci si ferma ad ammirare quei magnifici esempi di architettura rurale che sono i muretti a secco, ci si rende conto di come spesso nella loro costruzione venisse utilizzato materiale di risulta, specie se questo era già disponibile sul territorio in blocchi squadrati di una certa dimensione; niente di più probabile, quindi, che la popolazione megalitica del Salento fosse in origine molto più numerosa di oggi (come appunto già riportato dal De Giorgi) e che la sua diminuzione sia andata di pari passo con la crescita delle superfici coltivate.
    Un’ultima osservazione: i megaliti del Salento, per quanto piccoli e radi, sembrano scaturire direttamente dal territorio (un po’ come accade, con ben altre proporzioni, in Bretagna); ben diverso è l’effetto che fa Stonehenge, che non ha praticamente nulla in comune con il sito che lo ospita (la piana di Salisbury). Non a caso due dei grandi interrogativi su Stonehenge riguardano a) la provenienza di quelle pietre; b) il modo in cui sarebbero state trasportate fin lì.

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  5. perche per delle cose cosi antiche cercano traduzioni dalle lingue molto recenti come il bretone,dal albanese menhir-mi entra in testa,dolmen-ucsita dalla testa,per di piu leggete..giusepe catappano-dio thot parlava albanese,.. anche nermin vlora falaschi,grazie.

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  6. Ci vantiamo di essere Provincia ad alta vocazione turistica, Museo a cielo aperto; quando i nostri gioielli più preziosi giacciono abbandonati ed invisibili. Un percorso fra i Megaliti Salentini è già reso difficoltoso dalla notevole estensione del territorio interessato al fenomeno, si aggiunga a questo la cronica mancanza di adeguata cartellonistica stradale, la scarsezza dell’informazione storico-turistica, la mancanza di un sistema adeguato di trasporto e quel patrimonio, del quale dovremmo essere orgogliosi, non è più fruibile dalla collettività. Fra il 2002 e il 2004 nello stilare un censimento del patrimonio megalitico Provinciale ebbi modo di percorrere in lungo e in largo il Salento, e nonostante fossi munito di topografie, ed informazioni adeguate mi risultò estremamente difficoltoso portare a termine quel lavoro; vi assicuro che da allora ben poco è cambiato.

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