Tradizioni

Cercando le Caremme

Caremma salentina

A Caremma pizzicotta, face u casu e la ricotta
e li face scusi, scusi cu nu lla vitine i carusi,
e li face chianu chianu, cu nu lla vite u guardianu.

A Gallipoli la Caremma è la madre “te lu Titoru” (la maschera locale che muore per le gozzoviglie del martedì grasso), a Martina Franca è la “Quarantena”, riempita di dolci e frutta per la gioia dei bambini, ad Oria è la “Quaremma”, che ha come “corredo” anche una bottiglietta d’olio (per alimentare la lampada che le consentirà di continuare a lavorare di notte), una d’aceto (a simboleggiare la ristrettezza economica) e 7 fichi secchi o taralli oltre al fuso. Nel centro Italia è la “Quaresima delle sette piume” mentre nel nord Italia è la “vecchia di Mezzaquaresima”. Nel Veneto si usa fare il “rogo dela vècia”.

A Maglie fino allo scorso anno le Caremme mi tenevano compagnia ogni mattina mentre andavo al lavoro. Quest’anno non se ne vedono. A Parabita una gentile signora  mi rincuorava dicendomi che secondo tradizione “se fai la Caremma una volta poi la devi fare per sette anni”, quindi “dovrebbero essercene in giro, visto che l’anno scorso c’erano”.

Caremma salentina

A Tuglie, il paese delle Caremme, finalmente, ne ho trovate alcune. Più “moderne”, colorate, più vicine allo spirito del Carnevale che a quello della Quaresima.

Una signora anziana che mi osservava divertita mentre guardavo per aria, convinta che  mi fossi persa, quando mi sono avvicinata dicendo invece che “cercavo le Caremme”, mi ha guardato con un sorriso pieno di tenerezza. “Comu le piccinne“, ha poi commentato, senza aggiungere altro, quasi a volermi dire che stavo parlando di qualcosa di ormai molto lontano.

Forse, e lo spero vivamente, non ho cercato bene o abbastanza. Forse le persone giuste a cui chiederlo in quel momento non erano per strada, erano impegnate e non hanno potuto aiutarmi. Forse le esporranno l’anno prossimo.

2 pensieri su “Cercando le Caremme”

  1. Dopoi molte ricerche condotte in diverse parti e in diversificate fonti, pubblicai anni fa un opuscolo “La caremma” cercando di illustrare le vaere origini della figura e anche il significato del nome. Quella pubblicazione è stata rubata, modificata, stravolta, spesso alterando contenuti e significati di un tradizione molto antica. Se si ha bisogno del fascicolo lo invierò con molto piacere.
    Aldo D’Antico

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  2. Se le “caremme” stanno scomparendo, lo si deve, a mio avviso, all’evoluzione dei riti religiosi che si liberano col tempo di vecchi pregiudizi e miti precristiani. Il pupazzo sostituisce in realtà personaggi che anticamente si credeva fossero esseri infernali che rientravano sulla terra all’inizio del ciclo annuale. Per il cristianesimo è invece il simbolo della quaresima, del pentimento e della purificazione dopo le baldorie carnascialesche. La “canucchia” e “lu fusu”, che simboleggiano il lavoro e la vecchiaia, si accompagnano spesso ad un’arancia (simbolo della frugalità del cibo in periodo quaresimale) sulla quale vengono infilzate alcune penne di galllina o altro gallinaceo che probabilmente simboleggiano i sette vizi capitali e che vengono tolte una la volta, fino al giorno delle palme. Mi sembra di ricordare che la caremma veniva bruciata il Sabato santo, una sorta di esorcismo contro il male. Sono grato a Barbara che, parlandone, mi ha fatto ricordare la mia infanzia e posso dirle che anch’io le ho cercate in giro per il Salento e mi sembra di averne vista una anche a Maglie, mentre a Sanarica , si affaccia ogni anno su un balcone di via Roma.

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