Racconti, Scrittori salentini

L’estate cominciava presto

di Elena Tamborrino

Giuseppe Diso: Marina (collezione privata)

 

L’estate cominciava presto, appena finiva la scuola.
Significava lunghe giornate al mare, a Tirrenia, dove andavamo con il pullman militare che passava a prenderci alla fermata vicino ai Quattro Mori a Livorno e, dopo aver attraversato l’ultimo tratto di città (la nostra era una delle ultime fermate), si avviava sulla litoranea che arrivava fino a Marina di Pisa.
Il nostro stabilimento balneare si trovava a metà tra la località Calambrone e Marina di Pisa, appunto. E per arrivarci si attraversava lo Stagno, la zona industriale di Livorno, passando tra i depositi enormi della Stanic, l’attuale raffineria Eni, in un paesaggio di ferro e acciaio, fumo e odore di combustibile che tutto faceva immaginare tranne che il mare fosse lì a due passi.
E invece il mare c’era, anche se era di un indefinibile colore marrone che solo la mattina presto era un po’ più limpido, tanto che entrandoci a riva si potevano vedere i piedi, sulla sabbia sott’acqua. Già nel pomeriggio, entravi e le tue gambe finivano alle caviglie, e man mano che avanzavi, il mare ti ingoiava e poco si vedeva anche se ti immergevi con gli occhi aperti.
Mi interessava questo? No, per niente. Solo mio fratello Mauro, schizzinoso, faceva il bagno esclusivamente di mattina, oppure se si prendeva il pattino e si andava a largo, dove il mare diventava blu scuro e si vedevano enormi meduse bianche fluttuare vicino.
Io il bagno lo facevo anche di pomeriggio, perché lo facevo con i miei amici e non mi importava se l’acqua non era pulita, se facevamo i tuffi a riva e scomparivamo alla vista di tutti perché l’acqua ci nascondeva finché non si riemergeva: per le trasparenze aspettavo il Salento.
E poi Tirrenia significava la pizza napoletana, piegata in due e mangiata a merenda, appena sfornata dalla mensa militare: pagavamo alla cassa e ci mettevamo in fila con il nostro tagliando per ritirare la mezzaluna di pasta lievitata, con la pummarola, la mozzarella filante e le acciughe sott’olio.
La sorella di mio padre, signorina e insegnante elementare, quando finiva le lezioni si metteva in treno e veniva a prendermi per portarmi a Maglie, dove poi rimanevo finché non venivano i miei genitori con i miei fratelli per le loro vacanze, alla fine delle quali si rientrava in Toscana, pronti per il nuovo anno scolastico.
Le mie vacanze salentine dunque duravano almeno due mesi, durante i quali andavo al mare con la zia Maria e le sue cugine o le sue amiche, che a loro volta avevano nipoti miei coetanei, o quasi.
La nonna Consiglia ci aspettava con il piatto pronto e quando si arrivava a casa dall’Alimini o dalla Grotta della Monaca o da Badisco o da Porto Russo o dagli Archi a Santa Cesarea, ci si lavava giusto la faccia per sederci a tavola, affamati. La cucina di mia nonna era una cucina molto tradizionale, dove la pasta al sugo e le polpette avevano il ruolo più importante. Non ricordo preparazioni particolari se non la pizza di patate con la cipolla, che mia madre non faceva mai, gli gnocchi al sugo, che erano quasi di obbligo quando si faceva la salsa di pomodoro per le provviste invernali, il “tiano” di carne e patate, che mangiavo malvolentieri, la torta pasticciotto e i peperoni a salsa cotta, o a freddo, quando avanzavano i “cornetti” fritti e la nonna li sistemava a strati con il pangrattato, la menta, l’aceto e l’aglio.
Io ero una ragazzina dall’appetito non vivace, avevo gusti selettivi, non provavo piacere particolare a mangiare: ma i piatti semplici della nonna, uniti forse alla rilassatezza delle vacanze e alla fame che il mare mi metteva, facevano sì che in estate si compiesse il miracolo ed io riuscissi a mettere un po’ di carne addosso.
Ma il vero sapore delle mie vacanze era pane e pomodoro, come me lo preparava la zia: lo mangiavo la sera, per cena, davanti alla televisione. E di quelle serate davanti alla tv in bianco e nero ricordo Senza Rete, popolare varietà televisivo andato in onda dall’Auditorium Rai di Napoli per ben otto anni, d’estate e l’annuncio della morte di Paolo VI nel 1978: era l’unico Papa che avessi mai visto, salito al soglio pontificio un anno prima che nascessi.
Dopo la tv, la serata finiva sul balcone, seduta su una sdraio vicino alla nonna, che dopo aver finito di sgranare il suo Rosario mi sfidava a carte, ruba mazzo, asso pigliatutto o scopa.
La nonna e la zia erano tutte mie, le loro attenzioni concentrate su di me. Ad agosto arrivavano i miei fratelli e io perdevo l’esclusiva.
Mi piaceva tanto stare a Maglie da bambina, accompagnare la zia dalla sarta, in visita ai parenti dove tutti mi facevano le feste, perché ero la figlia di Nuccio, quella figlia che somigliava tanto al suo papà, sentire la nonna raccontare le storie e ridere con la sua bocca sgangherata dove erano rimasti solo due denti (aveva sempre rifiutato di mettere la dentiera), per cui quando a fine pasto puliva la “pupanedda”, dava a noi la polpa e per sé teneva i semi.
Alla fine di agosto lasciavo la casa della nonna con la mia famiglia e andavamo a trascorrere qualche giorno dall’altra nonna, a Fasano. Anzi, al Canale di Pirro, dove a Villa Elena la mia nonna materna trascorreva tutta la stagione estiva, in un carosello di presenze che andavano e venivano, figli, nipoti, cugini e fratelli.
Dei pochi giorni che trascorrevamo lì, ricordo la “cialledda” della nonna Elena, il suo sugo arancione (mai capito come le venisse di quel colore, ma so che era buonissimo), i vasi enormi di Nutella per la merenda di miriadi di nipoti bambini, il viale di accesso con le siepi di rosmarino, le motorette che zio Gregorio e zio Mattia smontavano e rimontavano, il go-kart artigianale sul quale sempre loro spingevano noi bambini sulla discesa, il grande albero di noci, l’odore dell’umidità la mattina presto, il golfino per ripararsi dal freddo, dopo l’agosto torrido magliese, la prima volta che ho sentito “Albachiara” di Vasco Rossi, che chi era boh?
Di tutto questo non c’è più nulla: Villa Elena esiste ancora ma non è più un unico corpo e sostanziali modifiche sono state apportate, in qualche modo anche migliorando l’insieme, ma cancellando alcuni luoghi dei miei ricordi, come il piazzale che si affacciava sulla pianura fino al mare.
Poi si tornava a casa e fino all’inizio della scuola si riprendevano le giornate a Tirrenia, dove però, dopo in bagni salentini, entrare in acqua non mi piaceva più.

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