Recensioni

Su Curzio Malaparte: La pelle

di Elena Tamborrino

“Scrittore, giornalista, militare, poeta e saggista italiano, nonché diplomatico, agente segreto, sceneggiatore, inviato speciale e regista cinematografico” (così lo declina Wikipedia) italiano, Curzio Suckert, con lo pseudonimo di Curzio Malaparte (1898-1957), fu una figura poliedrica e assai controversa, certamente molto affascinante. Me ne sono resa conto leggendo “La pelle” (1949), che racconta l’occupazione alleata in Italia dal 1943 al 1945, soffermandosi particolarmente sui fatti di Napoli, Roma e Firenze: come il romanzo “Kaputt” (1944), è il crudo resoconto delle atrocità della guerra.
Inizialmente doveva intitolarsi “La peste” ma solo due anni prima della pubblicazione, Albert Camus aveva pubblicato il suo romanzo con lo stesso titolo pensato da Malaparte decise di cambiare il suo: e così “La pelle” diventa forse il titolo più adatto («…la schifosa pelle (…) quella è la bandiera della nostra patria, della nostra vera patria. Una bandiera di pelle umana. La nostra vera patria è la nostra pelle.»). Spiazzante, disperante, grottesco, angosciante, triste, duro e cupo, è la rappresentazione del degrado e della fatiscenza morale di un popolo vinto, una lettura che dovrebbe essere complementare ai libri di storia, perché non basta raccontare la Liberazione in modo asettico e oggettivo, come altro non possono fare i manuali per la scuola.
La trama in breve: la Napoli del 1943 è invasa da una terribile “peste” morale da quando gli eserciti alleati sono arrivati come liberatori. Questa peste non corrompe i corpi, ma le anime, portando le donne a vendersi e a vendere i propri bambini ai soldati marocchini, dimenticando che a Napoli i bambini sono forse l’unica cosa sacra, e gli uomini a perdere il rispetto per sé stessi. La città diventa un inferno di degradazione, con scene orrende e oscure: la peste sta nelle mani dei liberatori, incapaci di comprendere le forze oscure che governano Napoli, convinti che un popolo vinto sia un popolo reo. Rimane solo la lotta per la sopravvivenza, non per l’anima, l’onore, la libertà o la giustizia, ma per la “schifosa pelle”.
Sono proprio i capitoli dedicati a Napoli che mi hanno maggiormente commossa e angosciata: mi sono chiesta più e più volte se fosse possibile che davvero Malaparte, al seguito degli Americani del CIC (Counter Intelligence Corps, agenzia di spionaggio con cui Malaparte collaborava, dopo che nel ‘43 dalla stessa era stato arrestato per le sue attività diplomatiche e in seguito rilasciato), avesse assistito a certe scene macabre e orrende, al di là di qualunque immaginazione: la spiegazione invece sta proprio nella sua immaginazione, nel delirio onirico, ma ben presente a sé stesso, che ha ispirato le pagine più crude di questo romanzo, che è in realtà una sorta di cronaca della disperazione.
Da leggere, anche per l’appendice di documenti, appartenenti ad un carteggio, dove lo stesso Malaparte parla del suo libro, lo spiega, lo definisce, lo colloca in un contesto.
L’edizione che ho letto io è quella digitale di Adelphi, pubblicata nel 2020, mentre l’ultima edizione cartacea, la decima, è del 2015.


C. Malaparte, “La pelle”, Adelphi 2015, € 14,00- Adelphi eBook 2020, € 6,99

Lascia un commento