La nostra epoca è l’età delle perifrasi. Il cieco è diventato non vedente, il sordo non udente, lo spazzino operatore ecologico, il portatore di handicap diversamente abile. Così pure, ritenendo un’offesa il termine vecchiaia, lo si è sostituito con “terza età”… come se un espediente letterario possa cambiare la realtà delle cose. Ma è la parola morte ad essere stata bandita, più di ogni altra, dal vocabolario corrente!
Eppure scienza e tecnologia, con i loro deliri di onnipotenza, si infrangono contro l’inesorabile decadimento fisico di ogni essere vivente. Si camuffano vecchiaia e malattia, ma la morte è impossibile nasconderla. La si può esorcizzare con stupidi scongiuri, ma far finta che essa non esista è davvero impossibile.
I pagani dell’area mediterranea usavano consumare un banchetto presso il sepolcro dei propri cari in alcune date stabilite, specialmente nell’anniversario della nascita. Essi ritenevano che il defunto commemorato prendesse parte al banchetto e ne traesse ristoro, tanto che il rito assunse il nome di refrigerium.
I primi cristiani fecero propria questa prassi, fortemente radicata nel popolo, conferendole col tempo una peculiarità eucaristica e apportando alcune modifiche circa i giorni e le modalità della celebrazione. In modo particolare, come attesta Tertulliano intorno alla fine del sec. II (De corona, III), i cristiani fissarono la data per la memoria dei martiri e per il suffragio dei defunti non più al giorno del compleanno ma all’anniversario della morte.
La luce della fede, infatti, riteneva il dies natalis più autentico quello del passaggio alla vita eterna. Sant’Ambrogio di Milano, verso la fine del sec. IV (De excessu fratris, 2, 5), ricorda come tali celebrazioni avessero un carattere di festa e vi fossero estranei il lutto e la mestizia. Il fedele defunto, addormentatosi nella comunione ecclesiale, godeva certamente della beatifica visione di Dio. Solo più tardi l’attenzione andò concentrandosi sul giudizio celeste, sull’incerto destino delle anime, sul bisogno di propiziare ai morti la pace eterna.
Già verso il sec. VIII, pertanto, sarà la santa messa il luogo teologico privilegiato per il suffragio dei defunti. Essa verrà inserita nello stesso rito delle esequie, che andrà assumendo un chiaro carattere penitenziale. Per la stessa ragione nel sec. X, al termine della liturgia funebre, sarà aggiunto il rito dell’absolutio con il responsorio Libera me, Domine. Dalla metà del sec. XVI alla riforma del Vaticano II a dominare le messe di suffragio è il catafalco, un’imponente scenografia funebre allestita davanti all’altare maggiore quasi a rendere l’idea di un sepolcro rinascimentale… più o meno sontuoso a seconda della tariffa versata e del defunto suffragato.
Tante candele, tante campane, tanti ministri corrisponderanno anch’essi ai carlini spesi. L’enfasi della morte sarà celebrata in ogni modo, specie con la musica, grazie alle straordinarie messe da Requiem che i più grandi maestri andranno componendo lungo i secoli.
Oggi – anche in campo liturgico – si è passati dalla spettacolarizzazione barocca della morte alla rocambolesca celebrazione di certi funerali. Come al solito… ciò che manca è l’equilibrio! Ciò che resta a legare i tempi passati con quelli odierni è la speranza (che per il credente è certezza) che tutto non finisca sotto una manciata di terra o sotto una lastra di marmo.
Francesco Danieli, classe 1981, è originario di Galàtone (Le).
Conseguita la maturità classica a Nardò nel 1999, intraprende gli studi di Filosofia e Teologia che lo condurranno alla laurea presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli nel 2004. A Roma, alunno dell'Istituto di Archeologia Cristiana, ottiene nel 2007 il diploma postuniversitario in Archeologia. Sempre nella capitale, presso l'Università della Santa Croce, consegue nel 2008 la licenza in Teologia e la specializzazione in Storia. Presso la medesima Università vince il dottorato di ricerca in Teologia - Storia, discutendone la tesi nel 2010.
Già sodale dell’Associazione Archivistica Ecclesiastica, dal 2010 è membro della Società di Storia Patria per la Puglia (deputazione di Lecce).
Nel 2007 è cofondatore della rivista «Spicilegia Sallentina», semestrale volto alla riscoperta e valorizzazione dei tesori culturali e ambientali di Terra d’Otranto. Ne sarà vicedirettore fino al 2011. Per le Edizioni Universitarie Romane, casa editrice legata all'università "La Sapienza" di Roma, è direttore fin dal 2007 della collana editoriale «Gli Argonauti», strumento scientifico che accoglie studi a carattere storico, artistico e antropologico culturale. Fa parte del comitato di redazione de "L'Idomeneo", rivista della facoltà di Beni Culturali dell'Università del Salento.
Organista di talento e concertatore d’esperienza, tra il 2000 e il 2008 dirige varie cappelle musicali prima nel Salento e poi a Roma. Ha pure composto versi e musica di numerosi inni e canti sacri, alcuni dei quali incisi su cd, variando nel suo repertorio tra il neo gregoriano, il polifonico, il swing e il beat.
È autore di cabaret e sforna esilaranti commedie in vernacolo salentino, messe in scena periodicamente in tutta la provincia di Lecce da varie compagnie teatrali.
Cultore della materia presso la cattedra di Storia Sociale dei Media, corso interfacoltà (Scienze della Comunicazione e Beni Culturali) dell'Università del Salento, collabora con diverse associazioni culturali nazionali ed è invitato a intervenire a conferenze e tavole rotonde in tutta Italia. Intellettuale eclettico e uomo dalle mille risorse, nell'oceano delle sue competenze si è fatto notare a livello nazionale soprattutto nell'ambito degli studi di interpretazione delle immagini, tanto da essere definito «uno dei maggiori iconologi italiani, capace di penetrare le opere d’arte – soprattutto quelle a soggetto religioso – palesando il messaggio criptato che committenti e artisti vollero imprimere in esse secoli e secoli fa».
Ciò che stupisce e ammalia della sua persona, però, è la stravagante e al contempo armonica commistione tra sfera intellettuale e sfera manuale. Acerrimo nemico del cemento armato, è tra gli ultimi custodi della muratura leccese all'antica, che trova le sue massime espressioni nelle tipiche volte a botte e a stella (spigolo, squadro, padiglione lunettato). Formatosi alla "scuola edile" pratica dei vecchi maestri, durante un lungo apprendistato giovanile, condivide con passione le antiche tecniche con quei "discìpuli" che, andando controcorrente, si affidano alla sua competente esperienza. Per loro e per molti altri è "Mesciu Cicciu". Unico titolo che lo inorgoglisce! Titolare di una piccola impresa individuale di muratura, è questa la professione che garantisce il sostentamento a lui ed alla sua famiglia, in aderenza all'antico adagio oraziano, per cui "carmina non dant panem".
Ha scritto vari volumi e ha firmato numerosissimi apprezzati contributi a carattere storico, artistico, antropologico e teologico per opere miscellanee e riviste cartacee e telematiche.
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7 pensieri su “Il mistero della morte”
Caro Don Ciccio,
ciò che mi stupisce è il distacco storico che sei riuscito a mantenere in questo argomento che facilmente poteva essere influenzato dalla tua cultura religiosa. Dire bravo è poco!
Effettivamente non è questione che riguardi solo i religiosi. La storia del culto della morte, da Omero a Foscolo, coinvolge la sensibilità di chiunque senta di appartenere ad un processo storico e culturale che fino ad ora è fonte della nostra ricchezza spirituale e del nostro spessore umano. Da non credente posso dire che sono profondamente infastidito da alloween e dall’armamentario clownesco che, non solo non vuole e non può esorcizzare la paura della morte ma, peggio, alimentando il sentimento di solitudine proprio della civiltà del bussines, aumenta l’angoscia degli individui rispetto alla morte, impoverendone, di ognuno, la vita.
Pure se sei ridotto in fin di vita,
e la MORTE è lì accanto che ti aspetta,
non la puoi dir quella parola abietta:
è un tabù, non lo si può, è proibita!
Oggi una cosa brutta è un po’ meschina
si abbellisce un bel po’ cambiando nome,
così puoi farla come e più di prima,
ma almeno non fa più tanta impressione.
Così il reato diventa “trasgressione”,
un vecchio è un “uomo della terza età”,
“consulente di strada” è un gran pappone,
e una gran troia è una “pornostar”.
E invece di morire tu puoi usare
di eufemismi tutto un campionario:
“morire” è il verbo di cui puoi trovare
più sinonimi in tutto il dizionario.
Caro Don Ciccio,
ciò che mi stupisce è il distacco storico che sei riuscito a mantenere in questo argomento che facilmente poteva essere influenzato dalla tua cultura religiosa. Dire bravo è poco!
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In effetti l’analisi ha carattere di oggettività. Complimenti.
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Effettivamente non è questione che riguardi solo i religiosi. La storia del culto della morte, da Omero a Foscolo, coinvolge la sensibilità di chiunque senta di appartenere ad un processo storico e culturale che fino ad ora è fonte della nostra ricchezza spirituale e del nostro spessore umano. Da non credente posso dire che sono profondamente infastidito da alloween e dall’armamentario clownesco che, non solo non vuole e non può esorcizzare la paura della morte ma, peggio, alimentando il sentimento di solitudine proprio della civiltà del bussines, aumenta l’angoscia degli individui rispetto alla morte, impoverendone, di ognuno, la vita.
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E’ sempre un piacere leggere Don Francesco, per contenuti, per agilità di forma e per sapida ironia.
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Perfetto come sempre don Francesco nostro.
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PER NON DIR MORTE
Pure se sei ridotto in fin di vita,
e la MORTE è lì accanto che ti aspetta,
non la puoi dir quella parola abietta:
è un tabù, non lo si può, è proibita!
Oggi una cosa brutta è un po’ meschina
si abbellisce un bel po’ cambiando nome,
così puoi farla come e più di prima,
ma almeno non fa più tanta impressione.
Così il reato diventa “trasgressione”,
un vecchio è un “uomo della terza età”,
“consulente di strada” è un gran pappone,
e una gran troia è una “pornostar”.
E invece di morire tu puoi usare
di eufemismi tutto un campionario:
“morire” è il verbo di cui puoi trovare
più sinonimi in tutto il dizionario.
Puoi dire addormentarsi, trapassare,
decedersi, spegnersi, mancare,
finire, soccombere, spirare,
perire, estinguersi, esalare,
andare all’altro mondo, consumarsi,
chiudere gli occhi per sempre, tramontare,
cessare a poco a poco, dileguarsi,
l’ultimo soffio trarre, oppure dare,
andare là, nel novero dei più,
venire meno, tornare al Padreterno,
volare in cielo, fra gli angeli, lassù,
andare a ritirare il premio eterno,
presentarsi al tribunale, a Dio,
riconsegnar lo spirito al Creatore,
mancare alla famiglia, pagare il fio,
essere accolto nel regno del Signore,
volare in cielo, fra gli angeli e fra i santi,
finire in terra a concimar le aiole,
uscir di casa con i piedi avanti,
esser privato del lume del sole,
lasciare il corpo con l’anima pulita,
passare da questa all’altra Vita,
volare in Paradiso dal Signore,
vivere con Lui che è puro AMORE.
……
E che fa la MORTE ingrata?
Rifiutata, esorcizzata,
combattuta, eliminata,
esiliata, allontanata,
dal mondo ormai cacciata,
dal linguaggio eliminata,
quella grande falciatrice,
taglia e taglia … ed è felice!
CORRADO ALBA
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Bravo, anzi bravissimo professore mio. Mi è sembrato di seguire una tua lezione. Antonio Bramato
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