Territorio

Geobiologi e rabdomanti

di Stefano Chiodo

Elaine Thomas: Rabdomante 2017, acrilico e acquerello su legno, 21×15 cm

Uno degli inconvenienti del vivere in città consiste nel non poter veramente decidere dove e come “mettere casa”.

Non mi riferisco alla semplice scelta del quartiere, poiché in ogni quartiere si possono trovare delle case in vendita, ma a qualcosa di più radicale, più meticoloso: la possibilità di selezionare e studiare il terreno su cui edificare, la forma e l’altezza dell’abitazione, il suo orientamento nello spazio, la disposizione delle reti elettriche e degli impianti, dell’arredamento, la collocazione e l’orientamento dei mobili, dei letti, ecc. Per la maggior parte degli abitanti delle nostre città una scelta di questo tipo è irrimediabilmente preclusa.

Ma anche chi avrebbe la possibilità di farla, circostanza abbastanza frequente tra gli abitanti dei tanti paesi del Salento che sfumano nella campagna, di solito non se ne avvede.

Eppure non si tratta di una questione di poco conto: una vasta documentazione scientifica dimostra infatti l’esistenza di un complesso campo di forze che avvolge come una rete invisibile l’intera superficie della Terra attraversando ogni cosa: l’irraggiamento cosmico (radiazioni elettromagnetiche ultra penetranti provenienti dallo spazio) e irraggiamento tellurico (correnti magnetiche irradiate dal nucleo terrestre fin verso la superficie del globo).

Alcuni sostengono che l’influenza di queste energie sull’uomo può rivelarsi, in determinate condizioni, nefasta e può giungere ad alterare i sistemi di regolazione dell’organismo e provocare disturbi quali insonnia o cefalee o, nei casi più gravi, far insorgere vere e proprie malattie.

La Geobiologia, secondo i suoi sostenitori, costituisce così una sorta di vera e propria “medicina dell’habitat” in grado di individuare la presenza dei punti sulla superficie terrestre (definiti “nodi patogeni”) nei quali la concentrazione di correnti e radiazioni nocive è particolarmente alta e di suggerire la composizione di un ambiente sano (geoarchitettura) attraverso determinate azioni che, almeno in parte, si possono così riassumere:

  • individuare il sito dove costruire l’abitazione vagliando con attenzione il paesaggio circostante e l’aspetto bioclimatico della zona;
  • verificare la presenza di acque sotterranee e faglie;
  • valutare, in fase di progettazione, l’orientamento e le ore di insolazione delle stanze;
  • cercare di dislocare le tubazioni dell’acqua, degli scarichi, le canalizzazioni dei riscaldamenti e dell’impianto elettrico quanto più possibile nelle strutture verticali dell’edificio, comunque al di fuori dell’area occupata dai letti;
  • allontanare contatori e apparecchiature elettriche dalla zona notte ed evitare potenziali inquinamenti elettromagnetici (per sovraffollamento) nell’ambiente soggiorno/cucina;
  • fare attenzione, nella distribuzione dei locali e dell’arredamento, a sistemare i letti in una zona neutra.

Quest’ultimo punto è particolarmente raccomandato, se solo si pensa a quanto tempo della nostra vita trascorriamo dormendo distesi sempre nella stessa piccola area della casa.

Si concorda anche sul fatto che, in linea di massima, è bene evitare la costruzione di un edificio sopra un terreno che presenta corsi d’acqua sotterranei perché è stato misurato che l’esistenza di acqua in corsi, falde e sacche sotterranee produce un’anomalia nel campo magnetico terrestre circostante, un aumento della carica elettrica dell’aria e del suolo e della potenza del campo d’onde ultracorte, una diminuzione dell’irraggiamento infrarosso lungo.

La conoscenza profonda di questi fenomeni e delle loro influenze è la stessa rinvenibile anche nella diffusissima pratica dell’arte geomantica dell’Oriente asiatico, il feng-shui, che nonostante la sua apparenza di “magia” si fonda originariamente su un’accurata osservazione della natura al servizio dell’architettura. Le origini del feng-shui per quanto incerte (anche se certamente cinesi) appaiono antichissime: sono state scoperte alcune tombe risalenti al Neolitico che, nella loro edificazione, sembrano seguirne i principi.

Da questo punto di vista il feng-shui può essere considerato, almeno in parte, il residuo di un archetipo primitivo, di una conoscenza di tipo “istintuale” che  sembra costituisse la normalità tra i nostri antenati e che era basata sulla comunanza del sentire, in quanto creature, tra l’uomo e la natura e sulla confidenza del primo con la terra ed i suoi fenomeni fisici.

Un’altra rudimentale scheggia di questo sapere arcaico, presente anche nel nostro angolo di mondo, la si intravede nel fenomeno della rabdomanzia.

Infatti le anomalie del campo magnetico terrestre e le altre forze invisibili operanti e connesse ad una falda acquifera non sono le stesse che, seppur in maniera rudimentale, registra il rabdomante con la sua bacchetta? La risposta non può che essere affermativa a meno che non ci si schieri tra quelli che considerano i rabdomanti dei ciarlatani o, ancora peggio, dei maghi.

Se da un verso una fonte d’acqua sotterranea può creare nocumento per le ragioni che ci indica la geobiologia, d’altro canto non può negarsi che, spesso, il ritrovamento della stessa, che porta alla nascita di un pozzo artesiano, viene salutato come una vera e propria benedizione dal cielo.

Oggi nel Salento quasi se ne sono perse le tracce e le ragioni ma è un fatto che, almeno fino agli anni ‘70 del novecento, ogni comunità contadina si teneva ben stretto il suo rabdomante perché non aveva a disposizione alcuno strumento di rilevazione geofisica diverso da quello.

L’uomo dell’acqua”, che spesso esercitava altri mestieri e non chiedeva nessun compenso, si presentava sul campo o nel giardino il giorno e all’ora convenute, portandosi appresso solo la sua bacchetta di legno o di metallo (alcuni usavano il proprio orologio tenuto sospeso tra le dita per il cinturino) che inforcava stringendola con le due mani mentre perlustrava l’area: nel punto in cui la bacchetta si curvava verso il basso come calamitata dall’acqua, lì bisognava scavare. Dal numero di rotazioni effettuate dalla bacchetta e da tutta una serie di altre informazioni che il rabdomante percepiva in quel momento, sapeva anche indicare a quale profondità si sarebbe trovata l’acqua. E l’acqua c’era quasi sempre. Una strana casualità?

Se si chiede a questi uomini come hanno scoperto di avere questo particolare dono di solito si mettono a raccontare di quando, una volta, mentre attraversavano un terreno, furono colti da una specie di malessere fisico, da una sensazione che mutava fino a scomparire o viceversa a intensificarsi a seconda se ci si allontanava o si avvicinava ad una certa area, che si scopriva poi attraversata dalla falda sotterranea. Col tempo l’esperienza ed il confronto con altri “simili” avrebbe affinato l’istinto del rabdomante fino a fargli capire con stupefacente esattezza non solo la profondità a cui si sarebbe trovata l’acqua ma anche la sua provenienza e addirittura il suo grado di salinità.

Questa capacità, che appare a prima vista inspiegabile o addirittura magica, appartiene dunque tutta al campo dei fenomeni fisici ma sembra convogliare anche verso altri piani, in quel punto in cui l’essere umano quantomeno si affaccia sulla soglia del proprio mistero.

Che fine hanno fatto oggi i rabdomanti?

Quei pochi che sanno di esserlo e che sono anche riconosciuti come tali vengono ancora oggi chiamati a sondare la terra, a volte anche delle stesse imprese di trivellazione ed estrazione dotati di apparecchiature apparentemente ben più sofisticate. La maggior parte di loro però ignora di avere questa capacità perché non ha mai provato a saggiarla, perché con la terra e con la cultura sbrigativamente definita contadina ha voluto avere poco o niente a che fare. O forse perché presentarsi come rabdomante, oggi, significa esporsi alla diffidenza ed allo scherno della gente.

Ma è sempre stato questo il crinale su cui hanno camminato questi strani uomini.

 

Ci sono poi dei tipi particolari di rabdomanti che, pur condividendo la stessa sorte dei primi, non hanno a che fare con corsi d’acqua visibili ma con altri tipi di correnti sotterranee, ad esempio quelle della natura psichica e coscienziale.

Tra questi rientra di diritto la figura di Elemire Zolla (i cui scritti per l’appunto vennero inclusi nella sezione “dei cretini” della biblioteca personale di Umberto Eco[1]) che aveva sviluppato un indubbio talento proprio, una capacità di assorbire, svelare ed elaborare le forze che propagano da determinati luoghi: l’aura radiosa sprigionata da un paesaggio e dall’impronta lasciata dall’uomo con i suoi gesti ed i suoi rituali.

Lui che scelse in maniera accurata il suo ritiro toscano sulle alture di Montepulciano appositamente, disse, “per via di certe pietre”.

Lui che descrisse, in poche dense pagine, la vigilia della festa di Pietro e Paolo nella piazza di Galatina, i riti nella chiesetta di San Paolo, le donne salentine tarantolate ed il loro supremo archetipo celato dietro alle immagini di vipere e ragni, rappresentato dalla “danza finale della tarantata davanti a uno specchio, dove si sforzava di ravvisare il suo vero volto”.

Una danza differente da quella con cui vengono tartassati oggi i turisti, che partiva da un’esplorazione (proprio come nella rabdomanzia) “del campo” psichico con le percussioni  e aveva lo specchio come culmine ed emblema supremo del rituale.

Una danza che nel ‘700 venne descritta accuratamente dal viaggiatore irlandese George Berkley ma che ai tempi della visita di Zolla a Galatina, nei primi anni 80 del ‘900, già non si praticava più.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Rèmi Alexandre, “Geobiologia”, Como 1995;

Fernando Corbalan, “La sezione aurea”, Milano 2010;

AA.VV. “Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale”, Bologna 1999;

Elemire Zolla, “Auree”, Venezia 1985;

ricordi personali e racconti di anziani.

[1] https://aubreymcfato.com/2010/05/13/intervista-a-umberto-eco-per-wmi/

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