Scrittori salentini

L’estate salentina in un trolley: la sera prima della partenza

Gabriella De Donno

© Gianfranco Budano: I colori della storia

Scaricare le foto, alleggerire la memoria: il rituale, a vacanza finita, è sempre lo stesso. Trasferire da strumento a strumento, creare cartelle da datare e da riporre. “Visualizza come presentazione” e in un attimo sullo schermo del pc tutto si amplifica. I pixel ingigantiscono momenti che sono già ricordi, fino all’ultimo scatto, il click al Castello di Corigliano illuminato dalla luna.

Osservo quella foto che ho voluto in bianco e nero: sono angoli e curve che si contrappongono e il senso è tutto lì, in quelle sfumature di grigi e in quel gioco di forme, insomma è lì che risiedo, in quelle tonalità indefinite e spigolose.

Ci metterò dentro tutto: le scenografiche quinte di Torre Sant’Andrea, faraglioni friabili spettinati dallo scirocco di un settembre complice; accartoccio quegli scogli, sentinelle di un avamposto selvaggio, come fossero sacchetti di cartapane e li metto lì, ai quattro angoli della valigia. Mi restituiranno il profumo del mare quando quello della montagna, prepotente, avanzerà imponendo sentori di altra natura.

La musica, tantissima musica, ogni genere di musica: il violoncello di Sollima mi ci entra di sbieco nel gigantesco trolley. Ai suoi sinuosi lati ci sistemo i tamburelli della tradizione e la tromba di Bosso. Le voci e le danze, quelle troveranno posto qua e là.

I baci e gli abbracci di mamma mia e quelli della mamma dell’amica mia che, su quel sedile di scoglio nero, si son fatti racconti di antichi balli negli hotel di Santa Cesarea e di viaggi in biroccio a Maglie per andare a scuola, loro, “femmine”, quando le femmine a scuola ancora non ci andavano.

Le cene, le confidenze di serate tra amiche bellissime a cercarci addosso tratti messapici o normanni o arabi… e i divani accoglienti, soprattutto se il bianco dava alla testa, morbidezze dove lasciar sopire le paure, perché quelle ce le abbiamo tutti, ma a raccontarcele poi si esorcizzano, quasi fosse un modernissimo rituale scaramantico collettivo fatto di buon cibo, buon vino e cose dette.

Galatina, tutta intera: le sue corti avvolgenti, la poetica dei suoi pasticcieri, gli affreschi che ti catturano e ti inglobano alle pareti delle chiese privandoti della terza dimensione, ma concedendotene una quarta… e non chiedetemi di spiegarvi la magia; i pozzi di acqua miracolosa che chissà se funziona contro i malesseri di oggi; e poi le piazze irregolari, gli stemmi nobiliari.

I pasticciotti di Ascalone no, quelli li terrò fuori dal gigantesco trolley. Il vassoio incartato lo recherò sospeso tra le dita afferrandolo per il fiocchetto del nastro che lo sigillerà. Sarà incensiere che dispenserà frammenti di Salento lungo l’intero tragitto. Il profumo della crema vellutata e quello della frolla friabile segneranno il percorso e, novelle briciole di Pollicino, mi aiuteranno ritrovare la strada del ritorno.

E infine la luna sul castello di Corigliano, che sta lì a stordire gli animi sensibili e a farli poetici, la luna che, ignaro testimone, sigilla con un bacio ancora una volta un’estate di magia. La sgonfierò come si fa con i palloncini per farla piccola piccola e riporla in un taschino.

Ecco, credo di averci messo dentro tutto, ma forse c’è ancora un po’ di spazio. È quello del caffè in tutte le declinazioni possibili: “Passi per un caffè?”, “Ci vediamo per un caffè?“, “A che ora ti aspetto per il caffè?“, “Metti su la moka ché arrivo“, il caffè “pretesto”, il caffè stipato nel mio gigantesco trolley in comode e profumatissime confezioni da 250 grammi; ma non un qualsiasi caffè salentino, no! È “Caffè Quarta”!… What else?

1 pensiero su “L’estate salentina in un trolley: la sera prima della partenza”

  1. Perchè questa cronaca di un breve e ripetitivo scorcio di vita, all’apparenza comune ma mai banale, intrisa di straordinaria poesia, mi colpisce al cuore? A me che so appena dov’è il salento, mi fa apparire ora i miei confini piccoli e labili…
    Bellissima memoria, piena di quella sorta di tristezza che non è tristezza, ma una dolce malinconia, di quella che i portoghesi chiamano “saudade” e che come ogni sentimento è intraducibile.

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