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Pina la rossa

di Lucio Causo

cucina

La chiamavano “Pina la rossa” e non tanto per il colore dei capelli che sulla testa si intravedevano ancora tutti bianchi, quanto perché, quando si arrabbiava, il che accadeva molto spesso, diventava rossa come un peperone.
Noi – le mie sorelle, i miei fratelli e io – la chiamavamo invece la “nonna te li fiumi” perché da dove abitavamo noi, vicino alla piazza, nei pressi della chiesa matrice, era lontana la via te li fiumi, un quartiere della periferia, ove la nonna aveva una piccola bottega di generi alimentari con abitazione accanto. Quella zona si chiamava così perché la campagna nei giorni di pioggia intensa si allagava in più parti e l’acqua scendeva lungo i viottoli e i sentieri selvaggi verso gli acquitrini come tanti piccoli fiumi.

La nonna era piuttosto bassa e rotondetta e quasi spariva quando si sedeva sulla seggiola davanti alla finestra con le mani sul grembo e gli occhi rivolti lontano. Il viso era sempre imbronciato e non vi aleggiava mai un sorriso o un segno di letizia. Si trasformava solo quando stava in cucina davanti alla caldaia e ai quattro fornelli. La cucina era una grande stanza calda e piena degli odori dei buoni cibi che la nonna sapeva preparare. Le pareti erano tutte tappezzate di casseruole, tegami, padelle e coperchi di rame sistemati tutti in ordine dal più grande al più piccolo. Nonna Pina al cospetto del fuoco acceso e di quelle padelle luccicanti come oro sembrava la regina della casa. Era svelta per necessità dovendo preparare i pasti per tutta la figliolanza; era anche buona per come trattava i figli. Li guardava con occhi severi ma nello stesso tempo pieni di soddisfazione specialmente quando si riunivano attorno al grande tavolo per gustare quei piatti appetitosi che sapeva preparare.

La via dei fiumi, a noi che venivamo dalla piazza, sembrava tanto lontana che non volevamo andare neppure nei giorni di festa per ritirare i regali che teneva sempre pronti e per tutti. Ricordo che a me faceva rabbia essere trattato come la mia seconda sorella che di nome e di carattere assomigliava a nonna Pina.

A casa della nonna non andavamo volentieri anche perché, di tutte le sue specialità culinarie conoscevamo solo gli odori, mai che ne gustassimo il sapore. Eppure a me piaceva tanto vederla con il mestolo di legno per le mani, preparare i sughi, assaggiare le salse, aggiungervi il sale o il pepe per rendere più saporite le minestre. Mi piaceva guardare la vecchietta che con abilità era capace di passare da un tegame all’altro. Ma quella faccia sempre imbronciata, quell’interesse esclusivo per la cucina, quel non occuparsi di me che le facevo le moine, mi toglievano il piacere di vederla dinanzi ai fornelli.

Nonna Pina, quando andavamo a trovarla, appena ci avvicinavamo per salutarla, ci accoglieva con un brontolio che non riuscivamo a capire. Poi c’era sempre la Carmela tra i piedi!

Carmela era la domestica che aiutava la nonna a tenere in ordine la casa. Era un tipo che non dava confidenza e si riteneva una seconda padrona trattandoci come tanti mocciosi.

La casa della nonna era frequentata dagli amici dello zio Antonio; amici che, specialmente la domenica e gli altri giorni festivi, si trattenevano a giocare a carte spesso fino all’ora di cena.

Pina la rossa non era proprio una bigotta; io non l’ho mai vista entrare in una chiesa o recitare le preghiere, come di solito facevano i vecchietti; forse non aveva tempo con tutto il da fare che aveva per accudire ai figli; specialmente per il fatto che, essendo rimasta vedova da giovane, aveva dovuto pensare lei, da sola, a crescere i figli e a badare alla bottega.

Per la casa c’era Carmela che provvedeva al bucato, a rifare i letti, a scopare e a mantenere sempre luccicanti le padelle di rame in bella mostra sulla parete della cucina. In bottega si faceva aiutare dalle figlie, specialmente da Antonietta che era esperta nel confezionare le orecchiette e la pasta fresca.

Nonna Pina non ometteva mai di farsi il segno della croce appena metteva piede in cucina; dopo si annodava sulla fronte un fazzoletto per trattenere i capelli ed indossava il grembiule candido sulla gonna nera.

Nonna Pina era gelosa del suo modo di cucinare e se qualcuno le chiedeva come faceva il calzone o le pittule e le cartellate per le feste di Natale, rispondeva quasi stizzita: “Per fare da mangiare occorrono solo due cose: amore e fantasia, per il resto ognuno cucina a modo proprio”. E non spiegava a nessuno come preparava quei piatti che erano diventati rinomati per tutta la via te li fiumi e per i quartieri del centro storico. Solo alla figlia Antonietta insegnava i segreti della sua cucina, mettendola di fronte ai tegami e ai fornelli.

Di nonna Pina sono rimasti famosi alcuni piatti che preparava per le grandi ricorrenze come il Natale, Capodanno, Pasqua; squisitezze che noi abbiamo sempre chiamato “i piatti della festa”.

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