di Titti De Simeis

I social da chiacchiericcio: una combriccola virtuale di gente che si adopera per farsi i fatti di tutti; dalle notizie pubbliche a quelle appartenenti alla sfera emozionale più riservata. Certo, ognuno è libero di esprimersi, di parlare di sé, mettersi in luce o scegliere di non farlo. È una questione di gusto, buono o meno buono. Ma decidere di manifestare vicende appartenenti ad altri, soprattutto se molto private, senza premurarsi che gli interessati ne siano a conoscenza e, soprattutto, acconsentano a mettere in vetrina il loro vissuto, è una pessima trovata senza assoluta concezione del rispetto. Con sempre maggiore assiduità, chiunque racconta i fatti di chiunque: cose belle o no, legate a gente che, magari, non ama comparire o non fa uso dei social per faccende proprie; la stessa gente vorrebbe, di conseguenza, non veder ‘girare’ in un’ ossessiva condivisione foto o post che la riguardano. Immaginiamo che: fosse un loro desiderio provvederebbero di persona? Tutto questo è un’usanza primitiva, un bisogno inspiegabile di bisbigliare, di passare parola convinti, forse, che affidare ad altri notizie di un certo tiro sia segno di prestigio. Quasi il privilegio di una prima pagina, un modo per emergere dall’anonimato avendo un ruolo ben definito: il pettegolo di piazza. Nient’altro. E se questa usanza è abbracciata anche da soggetti con un certo retroscena culturale, va da sé che non sempre la conoscenza è stimolo a maturare, crescere, ‘insavire’. Resta, infatti, un angolo di vuoto anche nelle menti più erudite, un piccolo spazio mai riempito e, ci auguriamo, inconsapevole da cui, lasciarsi andare alla poco nobile naturalezza priva di travestimenti o artefatti valori, diventa cosa inevitabile.