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Figura e norma. Presepi e natività storiche in Terra d’Otranto – III – Il Presepe rinascimentale

di Pietro De Florio
Il Presepe nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Gallipoli

Fig. 13 Gallipoli, chiesa San Francesco d’Assisi, presepe

Anche questa città può vantare un presepe scultoreo cinquecentesco. Come in quello di Galatina, la grotta viene ricavata simbolicamente e architettonicamente, nella marcata profondità di un grande arcone sulla parete nella terza cappella della navata centrale (fig.13). L’opera sarebbe, stando alle attribuzioni, di Stefano da Putignano (secondo Paone, Mennonna, Cazzato, Verona).
Oltre le figure della sacra famiglia, sono scolpite due giovani ancelle reggicandele ai lati e, sulla parete di fondo, quattro angeli di cui due musicanti, gli altri, invece, ostentano cartigli declamatori. Al centro si trova un bimbo alter ego di Cristo, come se fosse alla colonna, tant’è che è accompagnato dai simboli prefigurativi della passione (fig.13), in alto in corrispondenza della chiave di volta dell’arcone e in asse con l’angelo musicante, si trova la stella guida dei magi. Ritornando sulla questione attributiva, queste figure, per così dire sussidiarie, stando ad una semplice valutazione visiva, non sono della stessa qualità mimetica, come quelle del presepe di Grottaglie (di Stefano Da Putignano) dove gli angeli sono ben più eleganti e raffinati.
La Vergine è inginocchiata con le mani giunte, ha un volto giovane, ingenuo, quasi una ragazzina popolana, si è distanti dalla Vergine aureolata e aristocratica che accetta l’omaggio principesco e cortese dei magi a Galatina, qui si attua, invece, l’elevazione degli umili.
Alla semplice e delicata espressione del viso della Madonna fa da complemento il denso e ampio manto drappeggiato, pressappoco un nucleo plastico che richiama la tradizione quattrocentesca. Il drappeggio perde la geometria a spirale vista a Galatina, per assumere un più morbido rigonfiamento, cioè la veste si libera da qualsiasi subordinazione formalistica esterna o di ricalco anatomico. L’intenso blu della cappa contrasta con l’oro della bordura e con l’ocra della veste interna, mentre il color avorio della cuffia si accorda con l’incarnato chiaro del volto incorniciato dai capelli (fig.13 ).

Fig. 14 Gallipoli, chiesa San Francesco d’Assisi, presepe, la Madonna
Fig. 15 Gallipoli, chiesa San Francesco d’Assisi, presepe, San Giuseppe

Si nota quindi l’impostazione classico-cinquecentesca caratterizzata da un misurato e bilanciato equilibrio e vaporosa compostezza, peraltro tipica del Persio. Tuttavia una esaustiva lettura della policromia risulta difficoltosa, sia per la caduta di colore, sia per l’alterazione complessiva del manufatto (sarebbe opportuno un restauro filologico di ripristino estetico a selezione cromatica, preceduto da una pulitura). La stessa disamina della consistenza plastica della Vergine vale anche per San Giuseppe, qui però il volume è alleggerito dalla mano sul ginocchio e dal bastone parallelo all’inclinazione del busto. Giuseppe è più anziano rispetto alla Madonna, il viso è solcato da rughe, specialmente sulla fronte e da quelle in contrazione a zampa di gallina intorno all’angolo esterno degli occhi, in un certo senso segnali di partecipazione emotiva all’evento (fig. 15). Il bue e l’asinello sembrano dei blocchi monolitici, non esprimono quella linea energetica o forza muscolare che si notano nel presepe di Grottaglie o in quello di Copertino. Il Bambino, con il simulacro azzurro del mondo, risulta quasi informe per il degrado, tuttavia è possibile notare una linea arcuata, con gambe e braccia scomposte, nel realistico e tipico movimento a scatti dei neonati (fig. 16).

Fig. 16 Gallipoli, chiesa San Francesco d’Assisi, presepe, Gesù

Il Presepe nella chiesa Parrocchiale di Copertino
L’opera copertinese consiste in un alto rilievo in pietra leccese raffigurante i pastori che rendono omaggio e offrono a Gesù i propri doni: un fuscello di formaggio fresco e un agnellino, mentre in alto l’ angelo annuncia la nascita del Redentore (figg. 17, 18).

Fig. 17 Copertino chiesa matrice, presepe
Fig. 18 Copertino chiesa matrice, presepe (veduta frontale)

Le figure sembrano emergere dal piano, quelle più arretrate cioè i pastori, danno l’impressione di nascere da una specie di concrescenza della materia del fondo, mentre le altre più aggettanti, assumono più compattezza plastica, quasi a tutto tondo. Quindi non spazio stereometrico stiacciato, ma disposizione per masse, secondo l’intensità e definizione del modellato. La composizione si articola in due gruppi di figure, uno per lato: quello di sinistra comprende il pastore-casaro e la Vergine, quello di destra è composto da San Giuseppe, il pastore con l’agnellino e un altro personaggio adorante. I due gruppi sembrano quasi contrapporsi descrivendo due curve strutturali immaginarie divergenti. La prima curva va dalla testa del pastore in alto a sinistra, fino all’anca del Bambino e l’altra inizia dalla testa del pastore a destra e tocca quella del Bambino Gesù, ma il raccordo è dato organicamente dai due animali che sembrano con forza uscire dal fondo e piegarsi, secondo l’inclinazione crestata del dorso, verso il Bambino (peraltro rovinato e monco).
Ogni figura possiede una propria connotazione individualità plastica, ciò si nota nelle flessioni, nello sviluppo avvolgente del panneggio (addirittura il manto della Vergine funge da giaciglio per il Bimbo) che modella le conformazioni delle gambe, nell’espressività dei volti vivacizzati dalle barbe e, ancora, nei riccioli delle capigliature, nei baffi e negli sguardi penetranti e intensi rimarcatati dalle cavità pupillari.

La linea indaga le forme più insistentemente aggettanti, su cui la luce morbidamente annota e definisce i dettagli fino alla massima intensità di chiarezza del piano limite del gruppo. Ma la luce si ingorga anche nelle profondità e pieghe della materia, generando ombre profonde, attenuando il senso del luminismo uniforme, ciò fa emergere i residui formali romanici che persistono nelle mani e teste più grandi di quanto non suggerisca una visione naturalistica, comunque riassorbiti nel ritmo della composizione. Pare che, nel nitore monocromatico della pietra, una luce ultraterrena e universale batta e si rifranga nel mondo, in ombre e chiaroscuri, individuando cose e persone nella loro esistenza concreta e umana.

Il Presepe nella chiesa del Carmine a Grottaglie
A Grottaglie nella chiesa del Carmine si può ammirare un autentico presepe di Stefano Da Putignano del 1550 (il più importante plasticatore pugliese del periodo), la firma dello scultore è “nascosta” sotto la culla del Bambino Gesù dove si legge: “Stephanus Apulie Poteniani […]” (putignanese).
Il popola il presepe una trentina circa di figure policrome, è realizzato in pietra locale (Figg. 19, 20, 21, 22), compreso il monoblocco del monte e, come da usanza pugliese, la grotta viene posta al centro della scena (mentre in quelli napoletani è decentrata).

Fig. 19 Grottaglie chiesa del Carmine, presepe
Fig. 20 Grottaglie chiesa del Carmine, presepe, part. grotta
Fig. 21 Grottaglie chiesa del Carmine, presepe, part. superiore
Fig. 22 Grottaglie chiesa del Carmine, presepe, part. superiore lato sinistro

Si vede Maria inginocchiata, indossa un manto azzurro, solcato da geometriche e profonde pieghe da cui risalta la tinta bianca e soffice della cuffia merlettata ricadente sulle spalle. La pregnanza plastico-volumetrica, segno di portamento solenne, non inficia il dato emozionale: dalla levigata regolarità del volto traspare nel trasalimento degli occhi socchiusi, la tenera contemplazione amorosa verso il figlioletto, nel momento in cui le mani simulano l’abbraccio. Giuseppe, come a Gallipoli, appare vecchio, quasi calvo, tuttavia meno bonario e caratterizzato somaticamente, in generale, qui a Grottaglie l’impostazione è più astratta e spigolosa, anche le pieghe della veste perdono la morbidezza gallipolina, per assumere uno sviluppo più duro e, in parte, raggiato (anche per questo motivo si nutrono seri dubbi che non sia Stefano l’autore del presepe di Gallipoli). Interessanti sono i colori, nonostante le patine siano parecchio rovinate in tutte le figure, l’azzurro del manto della Vergine, risulta puro (escludendo le zone abrase) rispetto al giallo di San Giuseppe, insomma entrambe le tinte primarie una fredda e l’altra calda si escludono, rendendo più vivace la scena. Il Bimbo a differenza della conformazione tendenzialmente plastico-geometrica dei genitori, mostra una linea tondeggiante e naturalisticamente aggraziata, nonostante una certa fissità espressiva. L’asinello e il bue stanno con il capo piegato nella mangiatoia realizzata ad intreccio di vimini e fascine, a fianco del primo animale a sinistra si trova (relativamente all’osservatore) un angelo con un cartiglio che recita: “Gloria nell’alto dei cieli”, accanto al bue l’altro angelo regge la scritta: “e pace agli uomini in terra”. Sulla parete di fondo della grotta, l’angelo a sinistra suona una specie di liuto a manico lungo, quello a destra adopera la ghironda, cioè un cordofono a corde strofinate da un disco (strumento medievale), tra i due angeli ci sta un terzo posto più in alto che ha, tra le braccia, un drappo, forse per avvolgere il neonato e per segnalare l’avvenuto parto, oppure potrebbe allegorizzare e prefigurare la passione di Cristo, vale a dire il panno della “Veronica”, più in basso a questo terzetto, un puttino seminudo è intento a suonare un cornamuto (strumento a fiato medievale).

Due personaggi si dispongono all’esterno della grotta, quello sinstra è un pastore con tre pecore, indossa una giacca smanicata di lana e stivali da cui sbuffa dall’orlo il rivestimento lanoso, quello a destra è uno zampognaro, gli stanno vicino un gatto e due pecore. Simbolicamente il felino, caro alle streghe, rappresenterebbe la notte e il principio femminile oscuro, oppure, probabilmente, il buon soldato, in quanto non rinuncia mai a cacciare la preda, ma più semplicemente è l’animale più comune e familiare, antidoto contro i sorci. Il cane che scodinzola, guarda il Bimbo e sta accanto alla Vergine, simboleggerebbe la capacità di “vedere gli spiriti” e quindi salvaguardare dai pericoli, pertanto esprime fedeltà feudale, coniugale e fede. Sul “monte” ecco tre angeli, quello al centro mostra la scritta: “con grande gioia vi annuncio che oggi è nato il Salvatore del mondo”, l’altro a sinistra apre un cartiglio che recita: “vieni a scoprire”, quello a destra espone la scritta che completa la locuzione e dice: “il Bimbo nel presepe”. I volti degli angeli sono volumetricamente regolari e tondeggianti, come analoga corposa saldezza plastica, anche in virtù di bluse plissettate, fanno vedere le figure inginocchiate per intero. Alle spalle degli angeli si snoda la cavalcata dei magi, analogamente alle pitture di Galatina e nel presepe del Riccardi a Lecce e in quello di Torre Santa Susanna, qui i cavalieri-magi sono assistiti da staffieri, ancora più indietro, sul fondo, il presepe si popola di altri pastori affancendati in attività domestiche e consuetudinarie, in particolare uno di questi, un po’impaurito per il mistico chiarore della notte, alza il capo verso l’alto, forse per vedere la cometa. Chiude in alto il presepe una scultura di San Michele Arcangelo del 1550 ca., cioè il difensore del popolo ebraico, considerato dai cristiani come il santo protettore militante che trafigge Satana. In quest’opera Stefano fa propri gli elementi tipici del presepe, non senza ricreare una conviviale atmosfera sospesa. L’autore guarda a uomini, animali, cose, paesaggio, con affabilità e tenerezza (C. Gelao, B. Tragni).

La determinazione plastica dei singoli elementi presepiali trova sintesi configurativa nello stile classico-rinascimentale di superficie, cioè le figure si dispongono per piani orizzontali (come, perlopiù, nella pittura de primo Rinascimento), come se fosse un rilievo a strati sovrapposti, in altre parole sono assenti le linee di sviluppo formale oblique che avrebbero indirizzato la composizione verso una certa profondità in senso pittorico.
Le centralità monumentali geometrizzate di Maria e Giuseppe esprimono valori di stabilità (a differenza della maggiore relatività organico – naturistica delle altre figure) e, pare si spingano in avanti, rispetto al piano inclinato superiore che dà l’impressione di scorrere sopra la grotta, si determina così, in alternativa al pittoricismo, il senso della profondità. Quindi la frontalità della grotta ha un peso visivo preponderante, sia per la sua grande apertura centrale, sia per le maggiori dimensioni dei personaggi principali colorati, tutto ciò amplifica le forze percettive dell’osservatore polarizzandole verso la base o punto di inizio del presepe. In ragione del maggior “peso” in basso dell’opera, si genera per converso, un restringimento verso l’alto sul monte, con una configurazione tronco-piramidale (accresciuta dalla posticcia figura dell’arcangelo Michele). Mutuando un concetto di Riegl si potrebbe dire che la gravità o ampiezza della base, impedisce al presepe un eccessivo sviluppo in altezza (per un eventuale assetto piramidale sproporzionalmente allungato), definendo così un certo equilibrio relativo tra crescita verso l’alto e la gravità verso il basso.

Allo schema classico-moderno del presepe fa da complemento l’ordine logico delle simmetrie (Gestalt si veda R. Arnheim): l’asse Bambino-arcangelo divide in due parti uguali il presepe; all’interno della grotta, i due angeli con cartigli (a tutto tondo) e gli altri due musicanti (in rilievo) si dispongono simmetricamente ai lati di Gesù, mentre quello con il panno e l’altro con il liuto sono in asse mediano. Fuori dalla grotta ci sono due pecorelle con pastore a sinistra e altre due con uno zampognaro a destra, in alto due angeli con i cartigli, uno per lato si trovano alle estremità della grotta – monte. Per converso si verifica un accentuamento asimmetrico e dinamico nel gruppo più numeroso sulla grotta a sinistra, formato da due Magi e altri personaggi, rispetto al gruppo di destra e in basso si notano le differenti collocazioni casuali del gatto e del cane.

Si potrebbe aggiungere che la cavalcata dei magi segni il tempo del movimento, nella durata che intercorre tra il primo che avanza e gli altri due magi più arretrati a sinistra, un intervallo di percorrenza che diventa simbolicamente il tempo del fatto (Figg. 21, 22), idealmente quello spazio – tempo sarà presto occupato, quando il primo mago sarà sceso dal monte.

Rafforzano l’animazione anche le differenze di grandezza delle figure, cioè la Vergine, per la propria, per così dire, levatura teologica è più alta di Giuseppe, gli angeli sono più piccoli rispetto alla coppia divina, il pastore e lo zampognaro presentano proporzioni intermedie ecc. Ritorna in questo caso una consuetudine antica, secondo la quale le dimensioni dei personaggi, dipendono dalla loro importanza, come accadeva nella scultura tardo romana, nei mosaici bizantini, fino al tardo ‘300, si veda per esempio la Natività di Duccio di Buoninsegna (1308-1310) presso il National Gallery di Washington.

Il Presepe nella Cattedrale di Lecce
Il presepe posto nella cappella della natività è suddiviso in due parti: quella in alto, cioè le sculture cinquecentesche superstiti (sopra il baldacchino), opera di Gabriele Riccardi, proveniente dalla vecchia cattedrale e, quella in basso, tardo secentesca che comprende il baldacchino, le statue della natività e l’altare (fig.23).

Fig. 23 Lecce chiesa cattedrale, presepe parte superiore

“Dentro questa cappella vi è il presepe di Cristo con bellissime statue in pietra leccese opera di Beli Ricciardo Leccese scultore eccellente”. Così Giulio Cesare Infantino (in “Lecce Sacra”), intorno alla prima metà del ‘600 descrive il presepe, avendolo già osservato nella configurazione originaria, presso la vecchia basilica, attribuendolo al Riccardi (Ricciardo). Di questo presepe ne aveva parlato in precedenza anche Scipione Ammirato, a proposito della famiglia Paladini committente dell’opera (F. A. Grasso).
Il Riccardi, attivo fino al 1578, è il grande architetto e scultore rinascimentale leccese, plasma il volto della città con un rinnovato linguaggio artistico, sul piano architettonico si avvale di “pregnanze geometriche” ed effetti luministici classicheggianti (o paganeggianti), sperimentati in Santa Croce (M. Manieri Elia). A lui si deve l’invenzione dello snodo plastico-strutturale e simbolico (poi su vasta scala) della “colonna inglobata” che sarà il motivo levitante del barocco leccese della forma cristiana (nel simbolo del pilastro) che include, ingloba e riscatta la materia dionisiaca preesistente (della colonna pagana), stando agli studi di M. Manieri Elia.

È assodato che la scena presepiale dei magi e dei pastori posta in alto sia del Riccardi (M. Paone) e la relativa datazione, secondo la storiografia e una guidistica diffusa, va dal 1545 al 1550, tuttavia recenti studi fondati sulla committenza dei Paladini, arretrano la datazione al 1520 circa (F. A. Grasso). Nel presepe del Riccardi si vedono, in primo piano,due pecore, due pastori di cui uno suona una specie di zufolo, l’altro rivolge lo sguardo al cielo che, probabilmente con la mano sinistra impugnava un bastone (ora mancante) e, con un procedere apparente da sinistra verso destra, spicca più indietro, la tipica cavalcata rinascimentale dei magi (che già si è avuto modo di vedere negli affreschi di un secolo prima a Galatina). In profondità, dopo i magi, appare una città fortificata con la porta urbica (una città secentesca, alla salentina, forse aggiunta successivamente, ma integrata nel contesto), forse simboleggia Betlemme, in un significato allegorico più ampio, la città o la storia a testimonianza dell’evento. Alla sapiente regia scenica d’insieme, corrisponde nei singoli elementi la capacità della resa analitica dei particolari, cioè negli agili panneggi; nel plasticismo analitico delle teste ricciolute e barbute, basti osservare la naturalezza del pastore intento a suonare; nella materica lanosità del vello delle pecore intente a brucare ecc. L’apparente casualità della disposizione dei personaggi viene egregiamente convertita in ordine dal ritmo alternato a partire da sinistra, con il pastore in piedi e la pecora accovacciata con il pastore seduto e la pecora in piedi, cioè controllo formale rinascimentale, nel ritmo di una visione d’insieme. I magi, invece, appaiono rigidi: posture in asse, panneggi geometrici, profili più stilizzati rispetto ai pastori, evidentemente qui lo scultore sente la solennità del riconoscimento storico del prodigioso avvenimento, da parte della classe (per così dire) eletta, pertanto il linguaggio si fa più aulico. Cavalli e cavalieri pare mantengano una propria autonomia plastica, ognuno sta per proprio conto (un po’come nella scultura tardo romana), staccati l’uno dagli altri, contrariamente ai pastori e pecore in primo piano, collegati dalla ritmica (fig. 24).

Fig. 24 Lecce chiesa cattedrale, presepe

Nella parte sottostante, all’interno del baldacchino la cui realizzazione si è protratta fino alla fine del Seicento, sono collocate le statue della Sacra Famiglia (fig. 25, 26). Il baldacchino proteso in avanti è sostenuto da due colonne tortili che terminano con capitelli corinzi a sostegno della trabeazione, dietro, invece, la struttura è sorretta da due paraste incassate (fig. 27) Le colonne, benché sostengano il notevole peso del gruppo scultoreo riccardiano, con il loro avviluppo a spirale, sembrano non avvertire tale sforzo, si avvitano nello spazio, alleggerite idealmente dai giuochi luministici dei rilievi.

Fig. 25 Lecce chiesa cattedrale, presepe parte inferiore
Fig. 26 Lecce chiesa cattedrale, presepe parte inferiore e Sacra Famiglia
Fig. 27 Lecce chiesa cattedrale, presepe veduta d’insieme

Queste, liberate simbolicamente dalla loro funzione portante, acquisiscono piuttosto, in ragione della fitta ornamentazione, il significato della fede gratuita che, svincolata dai pesi terreni, si eleva verso l’alto. I consueti temi dell’iconografia del barocco leccese permeano interamente il baldacchino, si tratta di fiori, frutti, festoni ecc. tutti simboli di abbondanza e benevolenza divina elargita grazie alla “fertilità spirituale” degli uomini (M. Manieri Elia). In particolare sulle colonne tortili, oltre ai giri d’acanto, girali e rosette si vedono alternate le sculture di 3 angeli (molli e delicati genietti ellenici di matrice dionisiaca?) che reggono, per singola colonna, il primo un agnello, il secondo il giglio, il terzo una cesta frutta, cioè rispettivamente il simbolo di Cristo, la Vergine Madre (purezza) e l’abbondanza dei frutti della fede propiziata dalla venuta del Salvatore. Gli angeli si alternano a degli uccelli che rappresenterebbero la trascendenza, l’anima umana, il Bambin Gesù ed anche la madre chiesa che nutre e sostiene i cristiani. I basamenti delle colonne sono decorati con due putti danzanti, ghirlande e un mascherone fogliato tipo sputaracemi dalla cui bocca, invece, escono fasci tessili ornamentali mistilinei che lambiscono gli stessi putti. L’intento è quello di purificare l’individuo che si avvicina all’altare grazie alla simbologia del mostro che ingoia e sputa chi o ciò che gli sta intorno, come nell’episodio biblico di Giona, in altri termini si introietta e poi si espelle la cosa, rigenerandola a nuova vita (M. Marcucci). Sull’architrave si notano tre flessuosi e, tipicamente barocchi angeli-putti di cui i due laterali reggono fasci di gigli, mentre quello centrale ha le mani sul petto e, dalla volta all’interno del baldacchino, un altro angelo pendente annuncia la gloria di Dio (figg. 29, 27).

Fig. 28 Lecce chiesa cattedrale, presepe, pala d’altare
Fig. 29 Lecce chiesa cattedrale, presepe parte inferiore, pala e decorazioni del baldacchino

Nel padiglione in basso si trovano le statue in pietra leccese policroma di Maria, Giuseppe, il bue e l’asinello, il Bimbo, invece, è di legno e sta in posizione eretta, viene cambiato di volta in volta a seconda delle esigenze liturgiche. Le figure di Maria e Giuseppe entrambi adoranti sono disposte simmetricamente rispetto al Bambino e la Vergine ha le mani raccolte in devota venerazione. Giuseppe partecipa attivamente al fatto miracoloso (non più dubbioso e in disparte, ma rivalutato, grazie a S. Teresa D’Avila e ai dettami post tridentini) contempla affettuosamente il Bimbo, un amore rinforzato dal gesto di apertura di braccia e mani, quasi a voler trattenersi dall’abbracciare d’impulso il Salvatore e, rispetto agli altri presepi già esaminati, qui è più giovane, con barba e folta capigliatura nera. Si notano le prescrizioni iconologiche controriformiste, riguardo alla diposizione di più accentuata simmetria della scena, norma rispettata anche per il bue e l’asino (figg. 25, 26).
La Vergine giovane, dai lineamenti delicati, sta racchiusa nel volume del grande manto azzurro ammorbidito dal fluire delle pieghe e il capo è coperto in un possibile posticcio fazzoletto bianco in cartapesta. All’azzurro (tipico della Madonna, cioè la verità celeste della Regina del cielo) di Maria corrisponde la terrestrità marrone del saio e mantello di Giuseppe, eccolo con il volto inciso e marcato, ha la fronte corrugata per lo stupore e lo sguardo rivolto verso il Bimbo, qui sta l’essere uomo-Giuseppe, il marrone quale rinuncia a sé e al proprio orgoglio, per fare l’assoluta volontà di Dio. Statua che evidenzia un pacato modellato dal morbido effetto pittorico e sobrio cromatismo. Anche il bue e l’asino non sono più masse volumetriche, ma animali vivi, con accenni di strutture muscolari ed organica costituzione, come già notato nel presepe di Copertino. Molti attribuiscono il presepe sottostante Secentesco a Giuseppe Cino (1645 – 1722), cioè l’ultimo interprete del barocco leccese, tuttavia F. A. Grasso esprimendo dubbi sul Cino, pensa anche al plasticatore leccese Giuseppe Longo, autore di opere presso la Grottella a Copertino.
Interessante è il dipinto dell’annunciazione posto sull’altare del presepe (fig.28), una pittura semplice, vicino al sentire popolare intrisa di primitivismo nazareno e purista. Probabilmente risale agli inizi del ‘900 e rientra in quel genere di opere di fattura pietistico – devozionale a sostituzione dei precedenti dipinti secenteschi a volte carnosamente sensuali, quindi nuove immagini, per occultare e correggere imbarazzanti nudità (A. Cassano).

Nitida linearità plastica ed essenzialità del colorito qualificano la pala, un’immagine semplice e spontanea che pare ripercorrere la tradizione italiana dall’Angelico a Ludovico Carracci, senza trascurare, stando ai contemporanei, ai modi del foggiano Francesco Saverio Altamura, attivo a Lecce e Provincia a fine Ottocento e del leccese Pietro De Simone (C. Farese Sperken). A completamento della composizione ai lati dell’altare si trovano le statue del Battista e del profeta Isaia, cioè gli annunciatori della venuta del Messia.
Si potrebbe dire che il presepe della cattedrale di Lecce sia una sorta di unione tra architettura e scultura, cioè il baldacchino-capanna (architettura) riparte i due piani: quello alto della cavalcata e dei pastori e quello in basso dell’evento miracoloso incorniciato dalla tenue e ombreggiata ornamentazione (entrambi scultura). Tra i due episodi esiste una sorta di collegamento iconografico ideale (non scenografico), ossia i doni dei pastori e dei magi pare scendano con quest’ultimi simbolicamente verso il basso, trasformandosi in frutti allegorici (nel rimando narrativo barocco sulle colonne), della fede attuale.

Presepe Santuario della Madonna di Galaso a Torre Santa Susanna

Fig. 30 Torre Santa Susanna chiesa santuario della Madonna di Galaso, presepe
Fig. 31 Torre Santa Susanna Madonna di Galaso, presepe, parte superiore

In provincia di Brindisi, a qualche chilometro da Lecce, quasi a lambire i confini provinciali leccesi, esiste, a Torre Santa Susanna, un altro presepe rinascimentale del 1588. Si trova in un altare laterale, nel santuario della Madonna di Galaso, attribuito dal De Giorgi al Riccardi (forse perché ripartito su due piani), ma è da escludere, valutando la qualità stilistica della rappresentazione e, secondo Clara Gelao, l’impianto presepiale riprenderebbe un’immagine riprodotta in stampa da una lastra in bronzo del sec. XVI. L’opera è scolpita perlopiù a rilievo e, alcune figure, in un quasi tutto tondo, il tutto ricoperto da colori vivaci, sebbene alterati.

Il grande arco trionfale posto al centro che richiama modelli umanistico – rinascimentali del Bramante, Foppa e Mantegna, offre alla natività un valore di avvenimento storico, secondo la consueta lettura iconografica, cioè la venuta di Cristo che riscatta anche il mondo classico estraneo alla rivelazione (fig. 30, 31). Due cavalli dei magi, in alto a destra, sono visti da tergo in scorcio e, sul punto opposto in basso a sinistra, si vede la torsione del personaggio in primo piano, inginocchiato vicino un rudere classico, entrambe le contrapposte posizioni farebbero pensare a soluzioni formali manieristiche. Dal punto di vista iconografico interessante è l’asino, lo si vede ragliare con il muso al cielo e, nelle immagini nordiche, dove questa cosa trae origine, oltre al ragliare si aggiunge la disattenzione nei confronti di Gesù o, in altri casi, l’animale tenta di rubare le coperte al nascituro, mentre Giuseppe lo minaccia con un bastone.

La prospettiva approssimativa delle architetture classiche e le semplificazioni volumetriche, pongono quest’opera nell’ambito popolare, folklorico o “minore”, come direbbe Deleuze. Giacchè il “minore” è l’intempestivo, ciò che ha forza dinamica e stimola altre letture, aldiquà dei vertici dell’ufficialità o della “normalità” accademica ed estetica (G. Deleuze). Perciò il senso del minore si coglie nelle linee e colori che risultano semplificati (netti, con riduzione dei chiaroscuri), nei volumi in rilievo giustapposti o aggregati (due gruppi in basso e uno in alto) e nelle incongruenze anatomiche e deformazione dei tratti (nelle braccia, mani, ampiezza della veste della Vergine, busti schiacciati degli ultimi due magi in alto a destra ecc.) (figg. 32,33). Inoltre lo schema compositivo sembra casuale, denso e soffocato, tuttavia esiste, stando ad una lettura arneheimiana, una qualche correlazione di blocchi che fluidifica la configurazione. Cioè, intorno al perno architettonico centrale, ruotano quattro blocchi in senso antiorario. In basso il primo blocco è costituito dalla Sacra Famiglia e un pastore in atto di donare una pecora; il secondo è formato dal musico (definito e tondeggiante) con zampogna e due figure comuni o artigiani, di cui uno medita e adora, l’altro reca un agnello; il terzo a sinistra raffigura un paesaggio stratificato verticale con la città di “Bettalem” che collega i due piani del presepe; l’ultimo blocco, con la cavalcata dei magi, si sviluppa sopra l’architettura celebrativa, come nel presepe della cattedrale di Lecce. Oltre ai magi, si vede un palafreniere, altri personaggi che si avviano da destra verso sinistra con i propri doni caricati su un mulo verso la natività e, ancora più in alto, compare la stella guida dei Magi e quatto angeli che suonano strumenti a fiato e a corda (che ricordano i presepi di Gallipoli, Grottaglie e lucani), quello a sinistra, invece, percuote un tamburello, evocando chissà, la ritmica musicale del tarantolismo.

Fig. 32 Torre Santa Susanna Madonna di Galaso, presepe, part. parte inferiore
Fig. 33 Torre Santa Susanna Madonna di Galaso, presepe, Sacra Famiglia

Tornando in basso nel gruppo della Sacra Famiglia, il grande manto drappeggiato di Maria occupa quasi metà “scena” su cui si adagia il Bambino (come nel presepe di Copertino), con il bue vicinissimo e Giuseppe, quest’ultimo, contrariamente all’iconografia tradizionale, appare giovane, con folta capigliatura e barbato. Le figure della Sacra Famiglia si dispongono lungo un asse inclinato che va dalla testa di Giuseppe a quella di Gesù, mentre, devia e risalta la testa ragliante dell’asino. Insomma la dimensione popolare o “minore” favorisce una lettura espressiva più immediata, nella contrapposizione tra la solidità della giovane coppia (anche un po’ contadina) e l’insipienza dell’asino, come di chi non vuol riconoscere l’evidenza di ciò che accadde a Betlemme in quanto fatto storico (arco di trionfo).

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