Poesia

ELOGIO DELL’ IRPEF, OVVERO IL BELLO DEL BRUTTO

di Franco Intini

L’Irpef è un esempio che non mi riesce di rendere per il bello che è.
Messo in crisi dal crollo degli immutabili, cerco di trasformarlo in un’ Annunciata di Antonello da Messina
ma mi rimane tra le mani uno scheletro di gabbiano che vola sull’immondizia mentre un esercito di topi evade dai tombini esibendo il boccone di parmigiano rubacchiato a destra e a manca.

Penso che tra le barche del porto dove tutto questo accade, si annidi un che di postmoderno che non crede più nella costanza delle rotte e quindi nella dipartita dei cormorani ad aprile per tornare a novembre.

Sarà l’alice che fa la voce grossa e organizza mostre di lische e fondi di bottiglia nelle pizzerie.
Ma ho visto rondelle di calamari all’assalto di astici per dei punti qualità e ciuffi di acido solfidrico gocciolare uova tra i tavoli delle gelaterie.

Sarà lo stesso vento che agita i tricolori nei pavesi?

Per una figurina di Tyson se ne cedono cento di Rivera.
E tutti a dire che il bello è diventato brutto e non occorre trattare per un brandello di simmetria perché alle corrispondenze ci pensa la nostra Nazionale di figurine patriottiche e familiari, grazie a dio, schierata dalla parte giusta per ridare ad ognuno l’idea corretta di bellezza e incassare il gusto alle cento erbe .

A chi toccherà quella dell’Irpef?

Io continuo a dirmi che il ciclamino vale Raffaello e bisogna farlo sopravvivere all’inverno ma con tutto ciò un’immagine di bellezza mi si frantuma petalo dopo petalo lasciando il quadro privo di cornice, soggetto e senso.

Ecco, il mio rammarico è tutto qui e però non c’è nulla di cui meravigliarsi in quello che sembra davvero naturale e logico dal momento che stiamo sempre in qualcosa che è già accaduto e si può rimodellare a seconda del vento che tira e le blatte che brindano sulle tolde sono le stesse che ieri combattevano per molliche di panzerotti e resti di pecorino nelle stive.

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