Territorio

La coltivazione dell’ulivo tra passato e presente

L’olio tra coltura e paesaggio

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Ulivo salentino (foto Gianfranco Budano)

Dal punto di vista storico sono stati i Saraceni ad occuparsi intensamente dell’olivicoltura in terra salentina, secondo quanto attestato da Bonaventura da Lama, il quale, nel 1724, fa riferimento ai fatti avvenuti tra il 769 ed il 963, un arco temporale in cui l’area oggi denominata Salento venne popolata da boschi di ulivi; si devono ai Saraceni anche l’introduzione del torchio per la produzione di olio e la coltivazione della varietà Cellina.

Probabilmente quelli che sono giunti ai nostri giorni non sono gli ulivi originariamente impiantati dai Saraceni, come presumibile dalle continue modifiche subite dal paesaggio. I maestosi uliveti che popolano i paesaggi salentini contemporanei possono essere il risultato di impianti ed innesti su olivastri realizzati dai monaci basiliani e dalle popolazioni che con loro giunsero nel Salento dal Peloponneso, dalla Morea e dalle isole dell’arcipelago greco. L’importanza economica assunta dall’olivicoltura nell’ambito dell’agricoltura salentina è notevole. La superficie occupata dagli ulivi è attestabile attorno agli 84.000 Ha, con una produzione media annua superiore a 3.000.000 di quintali di olive e 500.000 quintali di olio.

Il Salento, da solo, produce l’80% dell’olio italiano. Prevale quasi ovunque la coltura specializzata, basata sulle varietà Cellina di Nardò (o Saracena) ed Ogliarola salentina, con sesti d’impianto regolari ed uliveti giovani sui terreni migliori, sesti irregolari e oliveti secolari sui terreni marginali.
Degne di particolare menzione sono le piante secolari, colossali e maestose, veri monumenti naturali attualmente oggetto d’attenzione e tutela grazie ad una legge regionale. La qualità dell’olio è varia in relazione alle aree: si produce ancora olio lampante, ma anche molto extra-vergine dall’elevato pregio organolettico, con una propria tipicità, in grado di competere con le migliori produzioni italiane per aspetti merceologici e nutrizionali. Ne rappresenta un’autorevole conferma il riconoscimento della denominazione di origine protetta (D.O.P.) per l’olio extravergine “Terra d’Otranto”.

November morning
Paesaggio salentino (foto di Gianfranco Budano)

L’olivicoltura concorre in una misura variabile dal 20 al 40% circa alla formazione della produzione vendibile a seconda dell’andamento stagionale; essa è soggetta ad un’alternanza annuale di produzione che è più accentuata per la cultivar Ogliarola. Questa varietà interessa ancora oggi circa il 60% circa del patrimonio olivicolo salentino, nonostante gli impianti più recenti abbiano portato ad una maggiore diffusione della cultivar Cellina che, pur presentando rese in olio mediamente più basse, assicura una produzione meno instabile.
L’ulivo occupa il 30% circa della superficie agraria e forestale della sola provincia di Lecce; un maggior grado di concentrazione si riscontra nella parte meridionale della penisola Salentina, nella zona che da Maglie si spinge fino al Capo di Leuca. È indubbio che la regolamentazione comunitaria degli anni ‘80, con la concessione dell’integrazione sull’olio, pur non avendo permesso di superare tutti gli elementi di crisi che hanno afflitto questo importantissimo settore dell’economia del Salento, ha consentito la sopravvivenza dell’olivicoltura, rendendo possibile l’introduzione di numerose innovazioni nelle tecniche di produzione, con il chiaro intento di contenere i costi e di accrescere i profitti per i produttori.
Le migliorie introdotte nella tecnica colturale variano dalla pratica della concimazione alla difesa fitosanitaria, dalla potatura alla raccolta del prodotto che, pur essendo generalmente effettuata da terra – data la dimensione delle piante – si avvale sempre più diffusamente di tecniche avanzate (impiego di reti e di macchine cernitrici e, in taluni casi, di scuotitrici). I maggiori progressi si sono registrati nell’attività elaiotecnica, grazie soprattutto alla creazione di una fitta rete di impianti di estrazione tecnologicamente avanzati, molti dei quali gestiti in forma cooperativa. Tra le annate particolarmente favorevoli ricordiamo quella del 1999 che si è rivelata eccezionale sia per la notevole produzione sia per l’ottima qualità dell’olio.
La cooperazione nel settore olivicolo è un fenomeno relativamente recente; i primi oleifici sociali tra quelli ora in attività sono sorti intorno agli anni ‘40 (Galatone e Matino); notevole impulso alla loro diffusione scaturì dall’azione della Riforma Fondiaria che promosse nel 1953 la costituzione di una prima società fra gli assegnatari di Frigole e Borgo Piave (Oleificio Cooperativo Riforma Fondiaria Giammatteo); in seguito furono costituiti gli oleifici sociali di Ugento, Carpignano e San Cassiano di Nociglia.

Iniziative simili si registrarono dopo il 1967, in concomitanza con la regolamentazione di mercato dell’olio di oliva da parte della Comunità Economica Europea; esse si sono tuttavia moltiplicate a partire dal 1973, grazie al nuovo regime fiscale in materia di cooperazione ed alla priorità assegnata agli oleifici sociali nel pagamento dell’integrazione del prezzo dell’olio. Queste circostanze hanno indotto numerose cooperative non specializzate (ad esempio di servizi collettivi) ad iniziare l’attività di disoleazione delle olive; inoltre numerose sono le cooperative sorte per avvalersi di benefici fiscali. Gli impianti cooperativi sono di dimensioni piccole e medie. Le regioni agrarie in cui minore risulta essere la capacità lavorativa stagionale degli oleifici sociali sono: la pianura di Lecce (22,3% della produzione massima ottenibile), la pianura di Otranto (27,3% ) e quella salentina centrale (32,1%). Nel complesso la dotazione degli impianti di disoleazione delle olive appare in equilibrio, sebbene sussistano differenze nell’ambito delle diverse regioni agrarie.

Occorre tuttavia considerare che, per l’afflusso di produzioni ottenute in aree limitrofe o addirittura al di fuori della regione, le olive trasformate in area salentina, in genere, superano il quantitativo di quelle prodotte; questo fenomeno interessa solo marginalmente le cooperative, che peraltro possono – nel caso di una produzione particolarmente abbondante – estendere il periodo di lavorazione per far fronte alle accresciute esigenze. Notevoli le migliorie apportate nella tecnica di estrazione dell’olio con l’introduzione di macchinari tecnologicamente avanzati: degli impianti ad estrazione continua, la maggior parte è di proprietà di società cooperative, molte delle quali li hanno affiancati ai vecchi impianti tradizionali, realizzando così tecniche di lavorazione miste. Gli olii prodotti dalle cooperative sono, in genere, qualitativamente migliori di quelli ottenuti dalle industrie olearie gestite in altre forme, anche se tra i diversi oleifici e nell’ambito di ciascuno di essi possono presentarsi notevoli differenze, in relazione alla qualità delle olive conferite.

Il sistema di lavorazione praticato negli oleifici sociali è quello partitario, che comporta la disoleazione delle olive distintamente per ciascun socio; ciò perché la resa in olio ed il grado di acidità possono presentare sensibili variazioni. Nel complesso, il prodotto ottenuto è per il 40-45% rappresentato da olio commestibili, per il 40% circa da olio lampante e per il restante 15-20% da olio di sansa. Attualmente l’olivicoltura salentina, dopo aver attraversato un periodo di crisi determinata dalla concorrenza di oli di oliva provenienti dal Nord, è in una fase di rinascita. Al fine di ottimizzare il processo produttivo e la commercializzazione, si rende necessaria un’accurata revisione in chiave critica dell’economia del settore, a cominciare dalle prospettive offerte dal mercato del confezionato, indispensabili per passare dalla condizione coloniale, di fornitori di materia prima, all’imprenditorialità matura, nonché, ovviamente, per aspirare alle nicchie più favorevoli, come quella dell’olio biologico. Il Salento negli ultimi anni ha compiuto passi da gigante in questa direzione.
Oltre 9.000 ettari di uliveti salentini sono destinati alle coltivazioni biologiche. I primi uliveti hanno superato il periodo transitorio ed hanno avviato la vendita del prodotto biologico. È ancora presto per presentare valutazioni in termini economici riguardo le scelte attuate, anche perché i prezzi, in genere, si aggirano intorno ai 9 e 11 euro per bottiglia da litro, anche se le vere nicchie di mercato non sono state ancora conquistate del tutto.

Oil power
Uliveto salentino (foto Gianfranco Budano)

Interessa notare che durante gli ultimi venti anni gli oleifici sono diminuiti di numero, nella misura del 40%, mentre la loro capacità lavorativa è sensibilmente aumentata. Contemporaneamente è diminuita la diffusione delle super-presse, ormai quasi scomparse, a vantaggio dell’estrazione centrifuga. È aumentato invece il numero degli oleifici cooperativi e dei frantoi privati. Tutti questi sono segni evidenti di uno sforzo di ammodernamento che continua tuttora. Migliorare la raccolta del prodotto è, sicuramente, il primo obiettivo, sia perché essa costituisce l’operazione più costosa, sia perché le attuali abitudini di raccolta sono motivo dell’enorme produzione, da triste primato, di olio lampante. La raccolta ideale andrebbe anticipata rispetto a quella che avviene per caduta spontanea delle olive. Ciò comporterebbe numerosi vantaggi, tra cui l’ottenimento di olive più sane, perché si ridurrebbe, ad esempio, il tempo di esposizione all’attacco della mosca delle olive; inoltre, si garantirebbe la possibilità di ottenere frutti migliori poiché più ricchi di fenoli (antiossidanti preziosi per la salute e contro l’irrancidimento dell’olio), più poveri in perossidi e in acidità libera e con più lungo tempo di induzione; infine, si preparerebbero le piante a garantire migliore resa per la raccolta dell’anno successivo. Tutti vantaggi non trascurabili, che possono procedere di pari passo con una diminuzione del costo della raccolta, purché ci sia sufficiente produzione da scuotere. Inoltre, sarebbe opportuno diffondere il più possibile l’irrigazione; è noto che la pianta di ulivo si accontenta di poca acqua e risponde, con la vegetazione e la produzione, in modo generoso e sicuro, anche se ciò negli esemplari adulti si evidenzia lentamente durante il corso degli anni.

Non sono pochi i casi in cui i terreni freschi e gli effetti succedanei di trattamenti fogliari azotati danno l’impressione che l’irrigazione sia superflua, ma in tutti è stato appurato che si tratta solo di un’impressione. Per quanto riguarda il periodo di irrigazione si può dire che la somministrazione di pochi quintali d’acqua per pianta, almeno tre settimane prima della fioritura, può essere importantissima; quindi vale la pena praticarla, anche nel caso in cui la carenza d’acqua sia presunta. L’intervallo fra le irrigazioni deve essere adeguato all’evapotraspirazione della pianta. La salinità della falda di fondo, crescente in molte zone, impone l’esame della sua tollerabilità, che per l’ulivo è buona. Più precisamente, fino ai due grammi di cloruro di sodio per litro non ci sono praticamente problemi, salvo in casi di eccezionale carenza di drenaggio; tre g/1 sono ancora accettabili, purché il drenaggio del terreno sia buono; oltre i tre g/1 occorrono particolari accorgimenti gestionali. Il Salento ha raggiunto ottimi standard qualitativi e le sue produzioni iniziano ad attestarsi ai primi posti a livello nazionale ed internazionale, con una richiesta crescente di prodotti di qualità. L’innovazione colturale registrata negli ultimi anni ha dato luogo ad una innovazione anche in ambito culturale, sortendo i suoi effetti benefici che possono essere osservati, ad esempio, nell’attenzione nei confronti delle Strade dell’Olio. L’esperienza, dapprima di dubbia riuscita, a distanza di anni dalla sua nascita, ha generato effetti tangibili, concorrendo alla valorizzazione del prodotto ed alla riscoperta dei territori rurali da cui esso proviene.

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