di Daniela De Pascalis

Serve il giorno dei muscoli tesi, per ricordarsi di una carezza che aspetta sempre di esserci. Per sapersi docili. Se mi attraversa una forma che aspetta da cielo e terra la sua risposta. La sua realtà. Il monito per il ritardo, o per l’oltraggio, o per la soggezione, o forse per l’incanto. È che non so dove buttare meglio le mani senza nuocere alla meraviglia. Si tratta di maneggiare con cura. Ma se le mie gambe solcano nette questa solitudine di polvere, posso solo fermarmi nel tempo, a debita distanza. È per dolcezza che lo faccio. Forse per amore smisurato. Non è la vanità di sapersi. È solo un dolore in comune. Che io sento. E se le lacrime che non disgustano il mio palato vanno sempre più veloci della ruga che solca il mio volto quando rido, forse è questo solco che si deve bagnare. È proprio per pelle. La mia impatta troppo…poco muscolo. Sono deboli le mie forze. Se le insulto. Forse serve solo una fermata in più. Un attimo solo, più avanti.