di Biagio Liberti

Si sa, i vissuti infantili sono formidabili: colori, suoni, forme, odori, figure, parole attraversano quegli anni, si depositano e sprofondano nella mente, nei meandri sinaptici direbbero i neurofisiologi. Poi inizia la vita sparpagliata, frenetica, arroventata dalle necessità, incombenze.
Così, se ti capita un funerale, aggallano certe immagini di una schiera compatta e nera, in circolo in genere, di molte donne e pochi uomini, peraltro spesso accantonati in stanza accanto, che intraprende un viaggio ipnotico di gesti manuali e parole: la recita del Santo Rosario.
Nei ricordi infantili, appunto, era un susseguirsi di suoni (parole) incomprensibili: kirieleyson, christeleyson, virgopredicanda, virgoveneranda, turriseburnea, quasi in lallazione, condotta dalla caposquadra che a volte armeggia con un libro nero dai bordi pagina rossi, lenta ma costante, con incisi automatici del “coro”(non so se ci siano volute prove, almeno le prime volte).
Allora mi è venuta la curiosità di chiedere a mia madre: ma quando recitavate il rosario, capivate le parole che dicevate? E lei: no, si recitava e basta: e ci sapia gnienti.
* Il rosario, le vesti lunghe e nere e i fazzoletti da capo.