Storia

I Volontari di Puglia tra i Mille di Marsala

di Lucio Causo

spedizione
La spedizione dei Mille

Nel 2010 sono terminate le celebrazioni relative al 150° anniversario della Spedizione dei Mille seguite, nel 2011, da quelle dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia che si riferiscono alla proclamazione del Regno Sabaudo, e si concludono con la vittoria italiana della prima guerra mondiale.

Luigi Ruggero Cataldi, tugliese di nascita e residente a Verona da diversi decenni, attento studioso di storia, filatelia e numismatica, giornalista pubblicista, con il saggio, molto interessante, I volontari di Puglia tra i Mille di Marsala, pubblicato nell’ultimo numero di Note di Storia e Cultura Salentina, rassegna annuale della Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione del Basso Salento di Maglie, ha voluto ripercorrere con grande impegno e serietà le vicende storiche di quei memorabili fatti d’arme.

Secondo il Cataldi, allo stato attuale delle cose, consta che non tutte le comunità regionali hanno degnamente commemorato i propri volontari che seguirono Garibaldi a Marsala, per liberare il sud d’Italia dall’oppressione borbonica di Francesco II e quindi unire gli italiani in un unico Stato.

Le fonti ufficiali consultate assegnano alla Puglia la presenza di cinque camicie rosse garibaldine fra la schiera gloriosa che sbarcò a Marsala l’11 maggio 1860, sfuggendo alla caccia delle navi da guerra borboniche.

Per realizzare la tanto agognata spedizione, la sera fra il 5 e il 6 maggio 1860, partirono da Quarto, ignoto borgo poco lontano da Genova, 1.089 volontari, fra cui non mancarono professionisti, commercianti e studenti che si sacrificarono per amore dell’Italia unita. Sbarcati a Marsala, i garibaldini raggiunsero Salemi e tre giorni dopo Garibaldi proclamò la dittatura in nome di Vittorio Emanuele Re d’Italia.

Le operazioni si svolsero con grande successo e la vittoria di Calatafimi aprì la via di Palermo, capitale siciliana, dove per tre giorni infuriò una lotta furibonda nelle strade della città. La sera del 30 maggio i borbonici chiesero l’armistizio e sgomberarono frettolosamente l’intero abitato.

Garibaldi, il 20 luglio, con la vittoria di Milazzo, si assicurò anche la Sicilia orientale e successivamente poté compiere felicemente il passaggio dello Stretto di Messina e avanzare verso Napoli, che fu raggiunta il 7 settembre mentre il re borbonico Francesco II si era ritirato a Gaeta con 50.000 fedeli.

L’elenco ufficiale dei volontari garibaldini comprendeva 1.089 nominativi così suddivisi: 1.048 provenienti dall’interno del Regno; 29 provenienti dall’estero; 12 di cui non fu possibile stabilire la provenienza. Fra quella schiera gloriosa i volontari di Puglia e Calabria vennero inquadrati nella 3^ Compagnia. I volontari pugliesi che presero parte alla spedizione dei Mille al seguito di Garibaldi e che combatterono contro i soldati borbonici furono i seguenti:

1)-BRAICO CESARE, nato a Brindisi 24.10.1816, medico chirurgo e patriota, si arruolò a Torino nel 1859 come medico di battaglione al seguito di Garibaldi. Fu eletto deputato nel collegio di Lucera.

2)-CURZIO FRANCESCO RAFFAELE, nato a Turi il 23.12.1822, Capitano residente a Firenze. Avvocato e membro della Commissione per la compilazione del primo ruolo nominativo dei Mille.

3)-MALDACEA MOISE’, nato a Foggia il 16.4.1822, Tenente colonnello, residente a Bari. Ferito alla battaglia di Calatafimi.

4)-MIGNOGNA NICOLO’, nato a Taranto il 28.12.1808, Tesoriere della Spedizione. A Palermo Mignogna venne incaricato da Garibaldi di recarsi in Basilicata per preparagli la via verso Napoli. Nel 1862 Mignogna fu al seguito di Garibaldi in Aspromonte.Fece parte del Consiglio Comunale di Napoli; fu Sottoprefetto di Gallipoli e Sindaco di Taranto dal 1867 al 1869.

5)-MINUTILLI FILIPPO, nato a Grumo Appula il 12.5.1813, Colonnello. Preparò con Garibaldi l’eroica Spedizione. Minutilli fu nominato comandante del Genio Garibaldino.

A questi cinque valorosi bisogna aggiungere altri tre volontari che pur non pugliesi di nascita al momento dell’arruolamento e della spedizione partita da Quarto risiedevano in Puglia con la propria famiglia:

A)-CARINI GAETANO, nato a Corteolona (Pavia) il 7.8.1832, Capitano, residente a Bovino (Foggia).

B)-FREDIANI FRANCESCO, nato a Massa il 14.5.1829, Sottotenente dei Bersaglieri. Impiegato postale presso la Tesoreria di Lecce.

C)-MOLINARI GIUSEPPE, nato a Venezia il 5.6.1837, impiegato delle ferrovie, residente a Foggia.

Luigi Ruggero Cataldi, che non è nuovo a queste certosine ricerche, ha voluto concludere il suo pregevole saggio con la seguente nota:

Nel corso di ricerche effettuate dall’Archivio di Stato di Torino, il 3 maggio 2011 è stato comunicato che sono stati individuati altri due garibaldini dei Mille che non figurano nell’elenco ufficiale preparato dalla Commissione ministeriale del 1862 ma verosimilmente erano stati inclusi fra i 12 dei quali non fu possibile stabilirne la provenienza. Uno di questi risulta essere il pugliese GALLO GUGLIELMO nato a Molfetta da Carmine e da Andreani Maddalena.

8 pensieri su “I Volontari di Puglia tra i Mille di Marsala”

  1. Premesso l’Unità d’Italia è sacra; premesso che la vocazione all’unità sta scritta abbondantemente nella geografia della nostra Nazione (delimitata al nord dalla Alpi e dal Mediterraneo in tutto il resto) e nella sua identità culturale, linguistica, artistica e religiosa; premesso che ci togliamo il cappello dinanzi a chi si è battuto in assoluta buona fede…. ecc. ecc,
    Alla faccia delle celebrazioni retoriche, faziose e pure spettacolari (ieri sera e questa sera Rai 1 trasmette la fiction -totalmente finta- su Anita e Garibaldi) la spedizione dei Mille ci lascia infinite perplessità:

    1) non erano chiari i finanziatori della spedizione (massoneria, ecc.);
    2) non erano adamantini i supporti logistici e di armi a Talamone;
    3) non erano ispirate a criteri diversi dalle rappresaglie naziste gli ordini di Nino Bixio a Bronte perché gli ingenui contadini avevano davvero creduto alla propaganda filogaribaldina della “terra ai contadini” e loro avevano osato occupare le terre di una ricca nobildonna inglese che ne chiese subito la restituzione e l’ottenne mercé gli ubbidienti garibaldini;
    4) Non erano campioni di legalità i figuri che Garibaldi volle vicino a sè nel suo ingresso trionfale a Napoli nel settembre 1860: Tore e Crescienzo e la Camorra (altro che Clan dei Casalesi dei nostri giorni);
    5) Lo stesso Garibaldi, in una sua lettera, scrisse d’essere consapevole che a causa delle ingiustizie inferte al Sud postunitario (non preunitario) sarebbe stato accolto a pietrate qualora fosse ridisceso in quelle terre.

    Tutto ciò -come le stragi di Casalduni e Pontelandolfo- continuano a latitare nelle ricostruzioni faziose di Rosario Villari et similia…. ma non dalla verità storica.

    Spero che Cultura salentina voglia tornare su questi argomenti del risorgimento con contributi meno unilaterali
    Grazie

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  2. “per liberare il sud d’Italia dall’oppressione borbonica di Francesco II” ma che razza di citazione è questa, chi l’ha scritta si rende conto della corbelleria che ha menzionato?
    Francesco II di Borbone all’epoca dei fatti era il legittimo sovrano di uno stato indipendente!
    Gentile sig. Luigi Rugero Cataldi, ormai è finità l’epoca della retorica, i cittadini Italiani nati e che vivono nelle regioni dell’ex Regno delle Due Sicilie sanno benissimo come sono andate le cose, lei, non me ne voglia, nato da queste parti è rimasto sicuramente ancorato al mito della liberazione Savoiarda, ma purtroppo non stanno così le cose, “noi” (e lei ne è un esempio) abbiamo avuto tra gli altri dalla “liberazione” un dono molto amaro, l’emigrazione!
    Il mio rammarico purtroppo è solo uno, questo falso anniversario sarebbe stata l’occasione finalmente di una seria operazione verità, che ancora non si è voluta.

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  3. Caro Francesco,
    non credo che l’articolo di Lucio Causo sia unilaterale quanto invece “realistico” di quello che fu l’impegno e il credo di alcuni uomini salentini. Relativamente al revisionismo risorgimentale siamo ben consci e abbiamo anche scritto in merito e pertanto ti invito a leggere un mio articolo dal titolo:
    “Il brigantaggio visto dal Sud”
    https://culturasalentina.wordpress.com/2010/01/14/il-brigantaggio-visto-dal-sud/
    oltre al mio saggio scaricabile gratuitamente nella sezione ebook “Rivedere la storia risorgimentale del Sud”.
    Ti ringrazio per l’attenzione e ti saluto

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  4. Mi rivolgo a Francesco e a Luigi: guardate trovo la vostra vis polemica francamente eccessiva per due motivi:
    1) l’articolo di Lucio Causo è in realtà una mezza recensione di un lavoro di caratura prettamente storiografica e che non mi sembra entri nel merito delle questioni, né tantomeno esprime giudizi; se si eccettua quell’ “oppressione borbonica” sulla quale in molti salentini di allora avrebbero molto da dire, e cito il Castromediano per tutti. Se di stato dalla legittima sovranità è giusto parlare non è il caso di lasciarsi andare in lodi sperticate su un regno che per sua natura non poteva (e non può essere a maggior ragione oggi) considerato democratico. Si trattava pur sempre di un regno che praticava la censura e la repressione di molti dei suoi più fieri oppositori; questo lo dico con tutta serenità e senza con questo voler difendere in alcun modo le indifendibili azioni dello stato savoiardo;
    2) nel corso degli anni abbiamo scritto, e ancora ne scriveremo in tutte le salse, e quello che pensiamo sull’argomento è facilmente reperibile anche nei seguenti post:
    Briganti e partigiani
    Il 150° anno da terroni
    La valigia, lo spago e il cliché
    Sentimento meridiano: le ragioni dell’orgoglio

    Spero non ci costringiate a difenderci da ciò che fondamentalmente condividiamo?

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  5. Nessuna polemica, ma la constatazione che la storiografia ufficiale dopo 150 anni naviga purtroppo ancora ostinatamente sul binario della “liberazione” e io ad ogni lettura mi chiedo sempre, ma da chi?
    Poi gentilissimo Gianfranco, nessuno loda l’operato della monarchia borbonica dell’epoca, ma, e sempre ma, mi sai dire quale monarca di quel tempo (compreso il potere temporale della chiesa) fosse liberale e attento alle istanze del popolo governato?
    Vi ringrazio per quello che scrivete e la cura che ponete nel trattare gli argomenti, ma purtroppo quando leggo di determinati giudizi sui fatti avvenuti 150 anni fa, non posso fare a meno di contestare (è pù forte di me), forse sarà l’amore che nutro per la mia terra.

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    1. Quello che ho cercato di dire è che quell’amore che tu nutri per quella che definisci la “tua terra” è identico al nostro, e la terra forse è la stessa; mi sembrava ingiusto da parte tua chiedere conto a noi che diamo dimostrazione del nostro attaccamento con testimonianze praticamente giornaliere. Per ciò che concerne la riscrittura delle vicende dell’Unità d’Italia poi, in qualità di studiosi formati, siamo avvezzi a leggere in maniera critica i fatti della storia e siamo sempre molto cauti nel riportare all’oggi fatti avvenuti un secolo e mezzo fa, questo perché… diciamo… siamo seguaci della scuola di Bloch.
      Non accetto la tua contestazione perché se fatta per argomenti che condivido suona come un’accusa pretestuosa.
      Comunque condividiamo il tuo impegno e la tua passione.

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  6. Io mi sono già espresso in merito a questa annosa questione ma avrei ancora da dire sull’Unità d’Italia, che i cittadini italiani stano festeggiando non già come semplice Unione di un’Italia che culturalmente preesisteva a questo evento storico, ma la sua nuova dignità di Stato unitario. Oggi voci irritanti che inneggiano alla secessione, alla divisione, al più bieco egoismo, sono segno inequivocabile di ambiguità se non incapacità d’interpretare quel federalismo che Cattaneo invocava per unire, non per dividere la nostra Nazione. Forse perché irritati da tali manifestazioni che sfiorano il razzismo, dopo decenni di silenzio, dopo aver sopportato insulti di ogni genere, il popolo meridionale riscopre la sua storia e rivive con le pagine di un revisionismo resosi a questo punto necessario, l’invasione subita dalle truppe sabaude da una parte, dal tornado garibaldino dall’altro. Dalle pagine appassionate di “Terroni” di Pino Aprile a quelle più pacate del “Sangue del Sud” di Giordano Bruno Guerri, libri che ho già citato in un mio precedente intervento, emergono episodi raccapriccianti e sgradevoli come i fatti di Bronte insanguinata per mano di Nino Bixio che eseguiva gli ordini di Garibaldi che così difendeva, secondo Gigi Di Fiore ( Controstoria dell’unità d’Italia), gli interessi che gli eredi della famiglia inglese dei Nelson vantavano su quel territorio. Io non mi sognerei mai di pensare a dividere uno stato e non soltanto per motivi ideologici, ma anche pragmatici e realisticamente finanziari, ma, se il Nord insiste nelle sue offese e velleità separatiste, allora un’attenta rivisitazione della Storia s’impone. Mi sono, per esempio, ripromesso anche di approfondire gli studi sulla figura del nostro conterraneo Liborio Romano da taluni esaltato, da altri vituperato per le sue singolari scelte operate nel mantenimento dell’ordine pubblico e sulla nascita del brigantaggio tra cui spicca la figura di quel Crocco, che raggiunse grande notorietà ai tempi che stiamo rievocando. Il processo di unificazione fu molto più complesso di quanto lo faccia apparire la vuota retorica di questi ultimi decenni e la figura di Garibaldi, a mio avviso, andrebbe per lo meno ridimensionata. Io credo che si trattò di annessione forzata, di guerra fratricida, di volontà di espansione dei Savoia sennò non si spiegherebbe che il re sabaudo mantenne il nome di Vittorio Emanuele II (ribadisco:secondo), contro il parere di molti. Il nuovo Stato inoltre, pur nelle variegate abitudini delle regioni “annesse” si dovette rifare allo Statuto albertino, cosa che irritò soprattutto lo Stato pontificio e forse questa volta non a torto. Il movimento unitario dovette infatti lottare contro una Chiesa che, sotto la guida di Pio IX, non aveva nessuna intenzione di rinunciare al suo potere temporale tanto che continuò a lottare contro il movimento risorgimentale con tale intensità che, anche dopo l’unificazione, ben 12 cardinali e una cinquantina di vescovi, tra cui il futuro papa Leone XIII, furono imprigionati perché palesemente contrari alle leggi italiane che inneggiavano (cosa molto positiva) alla libertà di pensiero, alla revisione dei codici civile e penale o alla piena autonomia di coscienza. Ma questo ci dimostra come anche in Italia centrale non si trattò di unificazione ma di assoggettamento al Piemonte. Sia chiaro che non tutti i cattolici erano contro l’unificazione risorgimentale annoverandosi, tra le fila dei cattolici, intellettuali della statura di Massimo d’Azeglio o politici del calibro di Ricasoli o Minghetti, ma l’alta gerarchia ecclesiastica seguiva le disposizioni di Pio IX che, col suo “Non expedit” “consigliava” ai cattolici di non partecipare alla vita politica italiana. E, se si volesse avere uno spaccato più completo delle idee integraliste che condizionavano le coscienze dell’alta gerarchia cattolica del tempo, bisognerebbe leggere il “Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (Elenco contenente i principali errori del nostro tempo), chiamato per antonomasia Sillabo, che è un elenco di ottanta proposizioni che papa Pio IX pubblicò insieme all’enciclica “Quanta cura” nella ricorrenza della solennità dell’immacolata concezione, l’otto Dicembre del 1864. Disquisire ancora dell’Unità potrebbe sembrare anacronistico se non esistessero al Nord movimenti secessionistici che non conoscono la Storia e che agiscono in nome di un egoismo che spesso sfocia in un razzismo latente. Onore agli eroi salentini, a tutti i giovani che lottarono in buona fede ma non esageriamo nell’esaltare figure storiche che fondano la loro popolarità sulla retorica e, spiace dirlo, anche sulla menzogna.

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    1. … un razzismo nemmeno tanto latente, direi anzi abbastanza sfrontato; ma non è questa la cosa peggiore. Sono i fatti che preoccupano: progettare linee superveloci sulle tratte a nord di Roma e sull’altro fronte ridurre i collegamenti del corridoio adriatico è la sostanza di una forma di razzismo plateale che si materializza ripercuotendosi chiaramente nelle economie di tutti i cittadini del sud-est d’Italia. E’ questo, credetemi, il prodotto più pericoloso di 150 anni di mancata unificazione da un lato e di continua mortificazione dei meridionali dall’altro. Uno status quo che continuerà ancora per decenni a frenare lo sviluppo dell’intera nazione.

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