Personaggi

Ricordo di Gino Pisanò

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Gino Pisanò (a sinistra) con Augusto Benemeglio

Ho saputo che Gino Pisanò se n’è andato, con discrezione, in silenzio, poco prima che la primavera rabbrividisse sui riflessi irritati di un bianco che non è candore, d’un rosso che non è passione, ma screpolatura, come tutto d’intorno a noi sembra ormai screpolarsi. Ma lui era uomo di passioni, che coltivava con una forza e un’ambizione tremenda dentro di sé, che traeva origini dalle modeste condizioni della sua famiglia d’origine, ma anche dal mistero che circonda sempre ogni uomo di talento e di genialità. Questa sua passione dello studio, della ricerca, della poesia, presto diventò un destino, una dannazione, contro il quale non esistono ostacoli, rimedi, resistenze; una passione che nonostante gli facesse conseguire il raggiungimento di ambiti riconoscimenti e mete prestigiose, diveniva sempre più una voragine, una profonda insoddisfazione di sé e del mondo chiuso e barocco che lo circondava.

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1997: Cerimonia di consegna della TARGA D’ARGENTO L’UOMO E IL MARE
per alti meriti culturali

Quando ci conoscemmo, una vita fa (siamo più vicini ai quaranta che trent’anni fa) eravamo all’inizio delle nostre attività letterarie, io ai primi faticosi e laboriosi concorsi dell’Uomo e il Mare, con Antonio Rima e Giuliano D’Elena, ai primissimi libri (L’isola della Luce, L’isola ne il Leone); lui ai primi saggi, ai prodigi bianco e rosa, barocco e rococò della luce salentina,alle sue prime poesie che mi faceva leggere subito dopo appena averle composte (“Se mi dici che non ti piace la strappo, o la getto in mare “, era il suo ricatto). Ne ricordo una, in particolare, una ballata sull’assedio dei veneziani a Gallipoli, che fu poi pubblicata su Nuovi Orientamenti,la rivista che aveva fondato e dirigeva Luigi Fontana:

Gallipoli frivola e santa,/ Gallipoli gaia e austera,/ apparvero vele grifagne/ nell’umida garrula sera:/ le donne proruppero in gridi,/ assorte in pensieri di morte/ e l’onda si fece pietra,/ Marcello ti era alle porte. Due giorni gli schianti, gli scoppi!/ le urla di madri e di spose/ giammai diventarono pianti/ e piansero solo le cose.// Marcello si stava severo,/ titàno sull’avida prua/ mirava te piccola patria/ grandissima come la sua./ Stridevano strette le mura,/ il mare si fece vermiglio,/ un dardo scagliò dai bastioni/ un umile ignoto tuo figlio/ Si tacque Marcello – un sussulto -/ l’azzurro si tinse di nero:/ Gallipoli ardivi a Venezia/ sottrarre il cuore più fiero.// Cadesti città salentina/ che il Sole consegni all’Aurora!e/ Salìa dal tuo mar verso il cielo/ un pianto crescente che ancora/ che ancora questa Terra t’invidia:/ cadesti a Venezia rapace/ ma vivi per sempre nel nome/ che onora quest’ora di pace.

Pisanò 004Gino amava il mare, quando vedeva una nave, o un peschereccio attraversare le acque dietro l’isola di Sant’Andrea, si sporgeva dal muraglione di San Francesco d’Assisi e rimaneva a fissare le onde che si rompevano contro bordo, guardava la traccia fosforica della scia, e il suo pensiero, la sua reverie, si lasciavano andare in una sorta di avventura nel mare dell’infinito leopardiano. Dopo avermela letta, dietro il Rivellino,- mentre un gabbiano si trastullava al di sopra e al di sotto del mare, in una prossimità lontana, dove sembra di vagare senza obiettivi, — mi disse, ecco, Augusto, se non ti piace io la getto in mare, perché ci tengo molto al tuo giudizio. Te lo dico sul serio.

Pisanò 003Vuoi il giudizio di un marinaio come me, Gino? Io ero allibito della sua umiltà, un uomo della sua preparazione, della sua cultura, che conosceva il greco, il latino, l’ebraico, un saggista della sua sicurezza, uno dei più preparati professore di lettere del Salento che veniva preso dal panico nel mettersi alla prova con una modesta ballata un po’ retorica che ricalcava schemi consueti di poesie classiche studiate al liceo, niente di più che un’esercitazione. Ma certo che mi piace, è il sentimento puro, la voce di un cuore incontaminato, appassionato, è bellissima, caro Gino. E d’un tratto ci scoprimmo l’uno nell’altro, come per un miracolo, era la prima volta che veramente ci si guardava dentro e si scopriva l’inscindibilità di un qualcosa di indefinibile che si può chiamare amicizia, quella fu la vera conoscenza tra di noi, fu in quel momento che si compì l’inatteso evento. Lui fece una recensione molto liricheggiante al mio libro sulla presa di Gallipoli, L’isola e il Leone, e subito arrivammo, quasi senza accorgersene, al nodo finale di tutte le questioni, ossia l’inutile estremo calcolo di differenze e scarti su una vita che non è mai compiutezza ma eterno germe di erbe, vento crudo, cellule del tempo del futuro che si approssima alla morte. Non voglio fiori né onori, mi disse, quando sarà quel momento (allora lontanissimo), ma una nudità verticale contro la luce, questa luce abbagliante, sfolgorante, accecante, unica, del Salento.

Pisanò 002Una partita a tennis

Fu in quel nodo invisibile, dentro le mura del castello aragonese di Gallipoli, mentre fervevano le manifestazioni per il cinquecentenario della presa di Gallipoli, e Franco Piccolo leggeva alcuni brani del mio libro, che si riunirono tutti i fili tessuti e intrecciati durante gli altri dieci, o cento, o mille incontri, occasionali e non, che avevamo avuto in passato e avremmo poi avuto in seguito, fino alla consegna da parte mia, in qualità di Presidente, della targa d’argento “L’uomo e il mare”, per i suoi alti meriti nel campo della cultura.

Una volta ci scontrammo anche in una singolar tenzone, sul campo da tennis, al club degli Ulivi di Tuglie. E – ci credereste? – non ricordo come andò a finire, non ricordo l’esito di quella singolare partita, sotto lo sguardo del mitico Pippi Toma, il gestore del magnifico Tennis club sul monte Grappa, inaugurato a suo tempo da Nicola Pietrangeli.

Ma il vero finale di partita l’abbiamo già spiegato, amico mio, che possedevi un cuore ardente come un vulcano, e una prodigiosa cassa di risonanza, dov’erano tutti i lamenti e le estasi, gli impulsi e le speranze degli uomini della tua terra salentina, tutti i tormenti, le crudeltà, i segreti di una terra dominata, calpestata, violata, che volevi riportare alla sua dignità e grandezza storica. La verità è che l’impulso alla ricerca della verità non ammette frontiere di fatica, non esistono soste, non esistono vigilie, solo impegno strenuo, ma noi siamo limitati, siamo fragili, e non ci è dato quasi mai il tempo necessario per portare a termine la nostra opera, ma la tua opera rimane comunque salda di future fertilità. I tuoi studi, i tuoi presagi hanno illuminato e illustrato il Salento.

Pisanò 001Il filo di Arianna

Una volta mi dicesti che la nostra fragilità, il nostro essere caduchi, come foglie, i nostri dubbi, il nostro perenne cadere, la coscienza dei nostri limiti è ciò che ci assilla per tutta la vita; ed è sempre un mettersi alla prova, anche quando diventi un personaggio pubblico, uno studioso famoso, che ha illustrato il Salento, la “nostra” piccola grande Patria. Noi viviamo sempre in una sorta di nebbia, o foschia che ci disorienta, viviamo nel dubbio costante di non aver compreso nulla di vero, importante, conclusivo. Ma una cosa rimane anche dopo che noi non ci saremo più, sapere che il filo d’Arianna di tutta la nostra ricerca è sempre il lavoro quotidiano, l’impegno, il concentrarci sull’apparente ma concreta semplicità di ogni azione, di ogni cosa, a livello artigianale, con la precisione essenziale che quell’azione, quel gesto potrebbe essere l’ultima, e che la paura dell’oltre, del salto nel buio della trascendenza non esiste.

In fondo è solo una pausa, uno schiarimento necessario per capire, per comprendere, anche se poi non potremo rivelare a nessuno quel mistero svelato, quella conoscenza ultima che è il senso vero della vita.

Addio, amico di tanto tanto tempo fa, di quando si facevano ancora le nozze con i fichi secchi, ed era una cosa buona. Che la terra ti sia lieve, grande Gino.

Roma, 19 marzo 2013

4 pensieri su “Ricordo di Gino Pisanò”

  1. Sono molto addolorato, ero molto legato al mio professore di Storia delle Biblioteche, uno dei tanti bellissimi corsi di quella fortunata stagione dell’Università di Lecce. Ci siamo salutati con calore ogni volta che ci siamo incontrati dopo la laurea, l’ultima volta alla chiusura di un corso di perfezionamento di cui credo sia stato uno degli ispiratori. Sempre molto umile, alla mano, curioso e attento ascoltatore, rifuggiva la supponenza tipica di alcuni docenti universitari ed emanava un grande amore per la sua professione. Posso dire senza ombra di dubbio che Gino Pisanò sia stato uno dei professori che più ho amato e che ha lasciato un segno profondo nella mia formazione. E’ un esempio luminoso per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Sono parole sincere che non potranno che essere confermate da tutti coloro che ebbero la fortuna di averlo come docente o come amico. E’ una grande perdita per la cultura salentina.

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  2. Ho letto con commozione i vostri splendidi ricordi di mio padre, Vi ringrazio anche a nome di mio fratello e di mia madre … Ci aiutano ad alleviare il nostro immenso dolore… Grazie.
    Enrico

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  3. Caro Gianfranco,
    sono riuscito a trovare delle foto di Gino risalenti al 1997,
    quando gli fu consegnata la TARGA D’ARGENTO L’UOMO E IL MARE
    per alti meriti culturali. In quella circostanza chiamai il suo preside
    d’allora (Prof, Luigi Giungato) a consegnargliela. E allestimmo, assieme
    al mio gruppo teatrale e a quello della “Calandra” di Tuglie (Giuseppe Miggiano) un recital di poesie di vari autori salentini (Bodini,Pierri,Ruggeri, Toma,Verri,Comi,Pagano,etc) che lui conosceva a fondo, ci aveva fatto diverse conferenze (in particolare su Comi) un po’ in tutto il Salento.
    Le foto che ti allego non sono un granchè, ma recano testimonianza di quel gradito evento, in cui Gino, è circondato, quasi accarezzato con lo sguardo, come un’icona, da tanti giovani entusiasti studenti, che lo conoscevano di fama. Ma per noi tutti, a partire da me, fu una specie di “evento” memorabile, e Gino ne fu felice; mi disse: avrei voluto che oggi ci fosse stato anche mio padre e si commosse. Ma subito dopo tornò a sorridere ai giovani che lo acclamavano.
    Un abbraccio
    Augusto

    PS: Spero che questo ricordo “documentato” possa apportare un granello di conforto, pur nell’immenso dolore, a suo figlio Enrico e a tutta la famiglia dell’amico “indimenticabile”.

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